Danilo Ki
Homo poeticus
Saggi e interviste
Saggi. Nuova serie, 61
2009, pp. 363
isbn: 9788845923951
«Di tutti gli scrittori della sua generazione, francesi e stranieri, che negli anni Ottanta vivevano a Parigi, era forse il più grande. Di certo il più invisibile» scrive Milan Kundera di Danilo Kiš, precisando poi: «La dea chiamata Attualità non aveva motivo di puntare i riflettori su di lui ... non ha mai sacrificato i suoi romanzi alla politica. Ha potuto così cogliere quel che vi era di più straziante: i destini dimenticati sin dalla nascita». Parole che sottolineano la refrattarietà di Kiš a qualsivoglia appartenenza, anche in momenti e in luoghi in cui certe lusinghiere etichette avrebbero automaticamente garantito vaste simpatie («Io non sono un dissidente» scriveva). Giacché l’unica patria di Kiš è la letteratura, e l’unica sua militanza quella di «scrittore bastardo venuto dal mondo scomparso dell’Europa centrale». Di questa irriducibile libertà offre una eloquente testimonianza Homo poeticus, raccolta di saggi e interviste in cui Kiš, applicando il suo genio a un ampio ventaglio di temi, spazia ora nella grande letteratura europea e americana – consegnandoci pagine magistrali su Borges, Flaubert, Nabokov, Sade –, ora nella storia del Novecento. Ovunque egli rivendica la ricchezza polimorfa e la sostanziale unità della tradizione europea, di cui l’anima balcanica è parte insopprimibile, e, contro la riduzione dell’uomo a zôon politikón, le ragioni dell’homo poeticus, inesorabile testimone di destini condannati in partenza all’oblio, di tragedie silenti, di tombe senza nome e, da ultimo, del delirio di un secolo.