C’era, nella Parigi degli anni fra il 1933 e il 1939, un evento intellettuale di cui si sussurrava con emozione e sconcerto: le lezioni su Hegel tenute da Kojève alla École Pratique des Hautes Études. I giovani che andavano ad ascoltarlo con fervore si chiamavano Jacques Lacan e Raymond Aron, Merleau-Ponty e Georges Bataille, André Breton e Roger Caillois. Ma l’influenza di quelle lezioni si sarebbe estesa a molti altri, talvolta opposti per costituzione, come Pierre Klossowski e Jean-Paul Sartre. Mentre l’allievo che prendeva le note preziose da cui poi ha tratto origine questo libro altri non era se non Raymond Queneau. Commentando la Fenomenologia (come dire: ricostruendo la genesi del mondo storico e l’articolazione dello Spirito), Kojève riuscì a metterne in evidenza alcuni nuclei roventi: innanzitutto le figure del «Signore» e del «Servo» – e il gioco fra queste e le nozioni di «Desiderio» e «Riconoscimento». Immensa è la carica eversiva di questi temi quali Kojève li fa emergere dal testo di Hegel, e quasi cogliere per la prima volta nella loro pienezza. Ovvie sono le conseguenze nella direzione di una lettura radicale sia di Marx sia di Freud. Ma anche il tema della «fine della Storia», penosamente banalizzato in anni recenti, affiora qui come una sfida vertiginosa. Seguendo queste lezioni, avvertiamo con rara evidenza la sensazione dell’elaborarsi di un pensiero mentre si formula, passo per passo. Così come percepiamo, con perfetta nitidezza, gli sviluppi (anche pratico-politici) a cui una certa linea speculativa può condurre. E niente può aiutarci a capire che cosa sia il «lavoro del concetto» come questo libro, con il suo procedere fatto di incursioni e di indugi fra le righe del testo di Hegel e nei meandri di una delle menti più affilate dell’epoca moderna, quella di Alexandre Kojève.