2012 / pp. 128 / € 13,00 € 12,35
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«All’uomo non conviene considerare, riguardo a se stesso e riguardo alle altre cose, se non ciò che è l’ottimo e l’eccellente; e inevitabilmente dovrebbe conoscere anche il peggio, giacché la conoscenza del meglio e del peggio è la medesima» dice Platone in un passo del Fedone. Tuttavia, aggiunge Sgalambro, la filosofia si è invece legata strettamente solo al «meglio», tanto da identificarvisi, e lo stesso Platone non ha affrontato minimamente la conoscenza del peggio che raccomandava. Vi è stato, certo, un «pessimismo che si assunse il compito di avere a che fare col pessimum, ma passando attraverso la sofferenza», e facendoci pagare i lugubri stati d’animo del pessimista, mentre «solo dopo il dolore» compare il vero pessimismo. Verso quest’ultimo, dunque, non può che condurci un «fanatico della verità» come Sgalambro – e il «metodo pessimistico» sarà lo strumento conoscitivo di chi, come lui, «è stato gettato in pasto al pensiero». Un metodo che Sgalambro, filosofo asistematico per eccellenza, trasmette qui con il libero flusso di un pensiero erratico capace di suscitare inattese accensioni nella mente del lettore. Ma per tornare sempre, lungo un percorso le cui diversioni compongono in realtà un disegno di grande coerenza, al tema dominante, fulcro di un’opera filosofica fra le più notevoli dei nostri tempi.