Tradotta da un’unica mano di poeta, l’intera opera teatrale di colui che Swinburne, sul finire del secolo scorso – quando la riscoperta degli Elisabettiani era già avviata ma non compiuta –, definì «il più grande scopritore, il pioniere più ardito e più ispirato di tutta la letteratura poetica inglese». Oggi essa ci attira come accenno a una letteratura virtuale che ha tutta l’arbitraria complicazione dell’artificio e insieme la necessità di un processo della natura.
«Sembra giusto che il teatro di un dio offra una grande varietà di livelli e possibilità di impiego. Invece le tragedie di Marlowe, dal punto di vista teatrale, sono elementari come un oggetto che serve a una sola cosa, per esempio una falce o un pettine; ma sono oggetti con sopra incise immagini straordinarie, con corna ed escrescenze notevoli, che pure ostacolando l’uso normale dello strumento, lo rendono unico e pregiato».
J.R. WILCOCK