
2002 / pp. 104 / € 11,00 € 10,45
2002 / pp. 104 / € 11,00 € 10,45
La stanza dei rifiuti racconta le vicende di Alberto e dei suoi (persone di famiglia o che con la sua famiglia avevano avuto a che fare) attraverso mezzo secolo di storia d’Italia, fino al secondo dopoguerra, a Trieste: si potrebbe pensare, dunque, che questo romanzo sia un’altra cronaca familiare, dove si intrecciano i fili della storia e dei destini dei singoli.
Mattioni, però, non ha voluto raccontare questa sua saga del tritume, della bassezza e della meschinità senza spiragli, fingendo uno sguardo estraneo e oggettivo, quello del narratore che evoca gli anni e i fatti. Qui, al contrario, sono gli eventi stessi, oppressivi e incombenti, che si ripresentano con la loro carica ossessiva, s’impongono al delirio tranquillo del protagonista, vecchio e rinchiuso nelle sue stanze, costretto a ripercorrere ogni giorno di nuovo i minuti fatti della sua esistenza. Ogni pomeriggio, infatti, egli si intrattiene in salotto con i suoi ospiti, che sono gli spettri dei suoi parenti, ed è il chiacchiericcio di questo salotto di fantasmi a tessere il romanzo, rendiconto allucinato e atrocemente normale della vita di una piccola famiglia durante cinquanta e più anni di storia d’Italia. Alla fine, dunque, non avremo la prospettiva né delle vittime né dei pretesi attori della Storia, ma quella forse ancora più inquietante di uno strato di persone talmente accecate, talmente prigioniere dei legami, tenaci e vischiosi, prodotti dall’interesse, dal rancore e dalla vendetta, che neppure percepiscono ciò che li circonda e neppure colgono come la Storia lentamente li malmena fino a spingerli tutti nella stanza dei rifiuti. Passano la prima guerra mondiale, il fascismo, la Resistenza, la liberazione, e le figurine di questo teatro continuano ad agitarsi, a spiarsi, come immerse in una nube pulviscolare che separa il mondo delle loro ossessioni immediate da tutto il resto. Certo, in queste pagine si ritroveranno molti episodi dove l’estro grottesco di Mattioni, ben noto a tutti i suoi lettori, ha libero e felicissimo gioco, e così anche la sua comicità sinistra e impassibile. Ma, visto a una certa distanza, appena ci si discosta dalla formicolante, vacua attività che lo anima, questo romanzo apparirà come il più amaro e nullificante nell’opera di Mattioni: un epos del sordido, duro e lucidissimo, che illumina ferocemente una certa miseria italiana del nostro secolo e la blocca in una sorta di luce metafisica.