2010 / pp. 384 / € 30,00 € 28,50
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Adelphi eBook
2024 / pp. / € 14,99
Città di Xi’an, Cina, 28 ottobre 1728: poco prima di mezzogiorno, un palanchino attraversa la lunga via centrale, mentre un uomo vestito curiosamente lo insegue con una corsa affannosa, brandendo in aria una lettera. Alcune guardie lo bloccano, e il destinatario, il generale Yue Zhongqi, governatore delle province di Shaanxi e Sichuan, ordina di arrestarlo. Gli basterà leggere poche righe per intuire i contorni di una gigantesca congiura anti-imperiale e dare il via a una caccia all’uomo che si concluderà con la cattura di tutti gli implicati – a partire dall’ideatore Zeng Jing. Sorprendentemente, l’imperatore Yongzheng, della dinastia Manciù, anziché emettere una sentenza capitale, preferirà indurre Zeng e gli altri congiurati a scrivere le loro confessioni e abiure, in modo che i corposi volumi di quelle apostasie rimangano come monito etico-giuridico per il futuro. Il proposito, insieme nobile e machiavellico, sarà tuttavia vanificato dall’erede di Yongzheng, il più brutale Qianlong, che farà «affettare» (ovvero giustiziare «per mutilazione progressiva», secondo antica prassi) i cospiratori e i loro parenti e ordinerà la distruzione dei volumi. E solo grazie alla temeraria disubbidienza di un cortigiano alcune copie giungeranno sino a noi. Quanto più Spence, con la sua maestria di narratore e di erudito, riesce a sprofondare nella realtà cinese – offrendoci memorabili ritratti nel formicolio di governatori e ribelli, burocrati e spie, prefetti e delatori, nonché isolando ogni tratto significativo sullo sfondo variegato dell’epoca –, tanto più ci accorgiamo che questa tragica vicenda sembra il modello, estremamente complicato e sottile, di tutti i complotti che la storia occidentale e orientale offre in abbondanza.