Charles Simic
Il mostro ama il suo labirinto
Taccuini
Piccola Biblioteca Adelphi, 630
2012, 2ª ediz., pp. 149
isbn: 9788845926853
Che cosa mette un poeta nei suoi taccuini? Se quel poeta è Charles Simic, il lettore immagina già la risposta: scene e frammenti che transitano fra realtà e sogno, oggetti enigmatici (orologi, specchi), ricordi del presente e premonizioni del passato, appunti di uno sguardo suo malgrado insonne. Ma queste schegge raccolte nell'officina poetica offrono qualcosa di più di un'occhiata nel backstage della creazione letteraria: Simic, cui la forma oscillante tra l'aforisma e la prosa breve sembra particolarmente congeniale, siede a giudicare se stesso e il mondo. Ed è un giudice-poeta chiaroveggente e bizzoso, repentino negli scatti d'ira e nelle smanie d'amore, che crede «nella irrimediabile e caotica mescolanza di ogni cosa», e usa «il caso come attrezzo per demolire le nostre associazioni abituali». Ora striglia i politici guerrafondai e gli intellettuali loro complici, ora racconta con macabra ironia vecchie storie dei Balcani (quel luogo d'Europa la cui economia si regge sulle «fabbriche di orfani e gli allevamenti di capri espiatori»). Stralunato e lubrico, «avanzo di galera ... di tutti i Paradisi terrestri», non cessa di meravigliarsi della stupidità umana, ingrediente segreto della storia, ma anche dell'«enciclopedia di archetipi» celata in ciascun oggetto. Ad ogni pagina, guizzi fulminei e collegamenti interrotti: «una melodia allegra suonata con malinconia», un'immagine sfocata di sé colta di sfuggita in uno specchio egizio, qualcosa «a metà fra l'infinito e lo starnuto», un «saporito stufato casalingo di angelo e bestia».
Taccuini