Varlam alamov
Višera
Antiromanzo
Traduzione di Claudia Zonghetti
Biblioteca Adelphi, 560
2010, 2ª ediz., pp. 234
isbn: 9788845924910
Prima della discesa agli inferi della Kolyma, la sterminata distesa di paludi e ghiacci nella Siberia nordorientale dove il regime sovietico portò al massimo livello di efficienza il sistematico annientamento delle sue vittime, Šalamov aveva già avuto modo di sperimentare la durezza della repressione staliniana: arrestato nel 1929 per «propaganda e organizzazione sovversiva», fu infatti condannato a scontare tre anni di lavori forzati in uno dei primi lager sovietici, quello di Višera, nel Nord degli Urali. Al ricordo di quell’esperienza – il primo impatto di uno spirito libero e forte con la spietata realtà politica e sociale del Paese – Šalamov, dopo il rientro a Mosca, torna in due momenti distinti della sua vita. Nel 1961, mentre già sta lavorando ai Racconti della Kolyma, scrive i due frammenti che aprono il volume, La prigione di Butyrki (1929) e Višera: testi incompiuti, eppure fondamentali per introdurre il corpo centrale del libro – quello che nel diario egli definì «l’antiromanzo di Višera», composto tra il 1970 e il 1971, ma destinato a vedere la luce solo nel 1989. In queste pagine, che si saldano indissolubilmente ai Racconti della Kolyma e che spesso ne richiamano temi e personaggi, tanto da costituirne l’indispensabile preludio, prende via via forma l’epopea negativa dei lager staliniani: la storia della loro nascita, di chi li abitò e di chi li diresse, dell’incrudelirsi delle regole che li trasformarono in un perfetto meccanismo atto non solo a infliggere sofferenze estreme, ma soprattutto a stravolgere ogni norma, distruggendo moralmente vittime e carnefici.