2016 / pp. 331 / € 30,00 € 28,50
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Adelphi eBook
2016 / pp. 331 / € 11,99
Presentando, nel 1976, il suo Molière, Garboli deplorava come «una sciagura nazionale» che il teatro e la borghesia italiani avessero «saltato» Molière, «così come succede a certi adulti che, nel loro sviluppo, rimuovono una delicata e essenziale fase di crescita». Bastano queste parole a far capire di quale radicale novità fosse portatore il suo lavoro. E dal ceppo di quella storica impresa è nato questo libro segreto ed essenziale, cui Garboli ha atteso per oltre un ventennio e che considerava il coronamento della sua attività di traduttore e critico molieriano. Ora che finalmente possiamo leggerlo, le ragioni di quell’appassionato accanimento ci appaiono chiare. Rappresentato nel febbraio del 1665, il Dom Juan fu subito purgato dallo stesso Molière, censurato, tolto dal cartellone e infine attaccato da un velenoso editoriale di matrice giansenista. Per quali ragioni la pièce sembrò tanto insolente e oltraggiosa? La risposta – ed è un Garboli più che mai agguerrito, di volta in volta filologo, francesista, storico del teatro e detective, a offrircela – sta tutta nell’audacia con cui Molière ha reinventato la figura del burlador, trasformandolo in un uomo fobico e ossessionato, che esclude «la femminilità come valore oggettivo» e ne fa strage, e ripudia in tal modo la coppia, la «catena “istituzionale” del vivere». Una blasfema caricatura, dunque, destinata a colpire la jeunesse libertina che cresceva nell’orto di Monsieur e a compiacere Luigi XIV – e ad alimentare un disegno politico così vertiginoso da rendere questa pièce simile a una stoffa cangiante «che prende colori diversi a seconda dei diversi riflessi di luce».