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Enea Silvio (Papa Pio II) Piccolomini

I commentarii

A cura di Luigi Totaro

Classici, 47
1984, 2ª ediz., pp. LIII-2725
isbn: 9788845919121

€ 130,00  (-5%)  € 123,50
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IN COPERTINA
Raffaello, Partenza di Enea Silvio Piccolomini per il Concilio di Basilea. Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe.
2004 SCALA FIRENZE
SINOSSI

Tomo I

Quattrocento anni dopo la prima edizione a stampa di questi Commentarii, difettosa e incompleta, vede la luce questa prima edizione filologica di uno dei grandi monumenti del Rinascimento italiano. L’ampiezza di respiro, l’esemplarità della figura del protagonista, la passione per il dettaglio e l’intelligenza delle cose umane fanno di questa autobiografia di colui che fu papa Pio II una lettura stupefacente. Tutto il mondo politico e religioso del Quattrocento europeo – ma, potremmo anche dire, tutta la vita dell’epoca nella sua peculiarità, nel suo passo, nel suo stile – risorgono davanti ai nostri occhi e si trasformano con l’evolversi di intricate vicende, traversate da un infaticabile testimone-attore che compone la sua vita come un’opera d’arte e al tempo stesso la traccia come un disegno della Provvidenza, secondo una mirabile ambivalenza rinascimentale, prima di consegnarne ai posteri la versione autenticata dal suo sigillo: questi Commentarii appunto.
Piccolomini fu uomo curioso di ogni fatto e aspetto della vita, prontissimo a coglierne ogni volta i tratti essenziali per proseguire poi sulla sua lunga, tortuosa via, che lo condusse a un glorioso e drammatico pontificato, e infine alla sua morte ad Ancona, in attesa di imbarcarsi per un’ultima Crociata che non si compì mai. Intrighi di Corte, di Curia e di Concilio, pestilenze, naufragi, corteggi imperiali, guerre remote e vicine, eleganti orazioni, avventurosi viaggi, costumi singolari, fisionomie di luoghi e di paesaggi, comportamenti memorabili di personaggi illustri o ignoti, vizi, perfidie e magnanimità dei potenti: tutto viene registrato in queste sue memorie con lo stesso acume e in quanto parte di un’unica, sterminata immagine. Oltre che storico fulmineo del proprio presente, Piccolomini sembra avere – per usare due termini che non appartenevano alla sua età – la vocazione del romanziere e dell’antropologo. Colui che aveva voluto la conchiusa perfezione di Pienza era lo stesso che si abbandonò all’immensa costruzione di questi Commentarii – e un uguale senso della forma domina l’una e l’altra impresa. Questi Commentarii furono per Burckhardt una guida indispensabile al Rinascimento italiano e, insieme, una delle sue manifestazioni più piene: tali dovrebbero ora rivelarsi al lettore moderno, a cui per un destino editoriale singolarmente avverso, la conoscenza di quest’opera in tutti i suoi tratti era stata tanto a lungo preclusa. Come scrisse lo stesso Burckhardt di Piccolomini: «Mille altri videro e seppero, almeno parzialmente, ciò che egli vide e seppe, ma senza risentire un impulso a darne un’immagine, e senza la coscienza che il mondo domandava».
I Commentarii furono composti fra il 1462 e la fine del 1463.
Questa è la prima edizione integrale del testo latino dei Commentarii, fondata sul codice Corsiniano 147 dell’Accademia dei Lincei, che costituisce l’ultima stesura dell’opera, commissionata dall’Autore e da lui affidata per la correzione ai suoi collaboratori (l’explicit dell’amanuense dà la data esatta della fine della copiatura: 12 giugno 1464). In apparato al testo latino sono riportate le varianti significative del codice Reginense 1995 della Biblioteca Vaticana, in parte autografo e in parte eseguito sotto dettatura dal segretario di Pio, Agostino Patrizi. Si consente così una lettura comparativa dei due codici fondamentali. A fronte è la traduzione italiana, corredata da un apparato di note, storiche in prevalenza, per la prima volta adeguate all’importanza del testo. L’edizione è completata da un indice dei nomi delle persone citate, da un indice dei capitoletti in cui è diviso ciascun libro dell’opera, e da due appendici: nella prima è edito per la prima volta il tredicesimo libro dei Commentarii, secondo la lezione del codice Reginense 1995, dal quale derivano tutti gli altri codici che lo contengono; nella seconda è pubblicata la lettera del cardinale Giovanni Antonio Campano (il collaboratore di Pio al quale il papa aveva affidato la revisione del testo), contenente una ‘recensio’ delle opere storiche del Piccolomini.

Tomo II

Il significato umano essenziale di questa autobiografia consiste nel fatto che un uomo rappresentativo e di grande ingegno raffigura se stesso con spigliatezza nelle diverse situazioni della vita in cui trova felicità e godimento in modo nuovo e moderno, cioè non si raffigura come un Petrarca nello spiegamento della propria soggettività, bensì nell’interesse tangibile per il mondo attuale intorno a lui, i cui fenomeni belli e caratteristici è in grado di cogliere plasticamente con occhi da artista e di descrivere con vividi tratti. Enea Silvio gode della bellezza della natura quando si reca in campagna per una gita o un soggiorno più lungo, e sbriga le faccende del suo ufficio sotto vecchi castagni o ulivi, e consuma il suo pasto sopra un prato nei pressi di una fonte o sulla riva di un fiume o sotto un capanno improvvisato, in liberi e lievi conversari con pochi intimi, e quando si lascia condurre nella portantina in cima alle colline per deliziarsi alla vista di un nuovo panorama; ogni evento della vita nella sua mossa varietà attrae il suo sguardo e stimola la sua penna, quando egli ad esempio abbozza la celebre descrizione della gara di canottaggio sul lago di Bolsena o contempla le rovine delle antiche città romane con un senso di elegiaca commozione; al pari di tutte le sue memorie, anche l’autobiografia trabocca di descrizioni geografiche e storiche, per lo più interpolate qua e là, di paesi, usanze, intrighi, situazioni politiche che egli descrive obiettivamente e di cui scopre il valore come materiale letterario. Tutto questo è noto dall’opera classica di Burckhardt, nella quale tra molte significative categorizzazioni dell’analisi della civiltà questi Commentarii figurano al primo posto come autodescrizione dell’uomo normale del primo Rinascimento, in cui si rifletteva con pienezza e vivacità non comuni l’immagine di quell’epoca storica e della civiltà intellettuale che egli stesso aveva in vario modo promosso (Georg Misch).