Emmanuel Carrère
Vite che non sono la mia
Fabula, 347
2019, 11ª ediz., pp. 261
isbn: 9788845933950
«Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, passo alcune ore davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. La vita mi ha reso testimone di queste due sciagure, l’una dopo l’altra, e mi ha assegnato il compito, o almeno io ho capito così, di raccontarle». Il caso ha voluto infatti che Emmanuel Carrère fosse in vacanza nello Sri Lanka quando lo tsunami ha devastato le coste del Pacifico, e che si trovasse a sostenere una coppia di connazionali nelle strazianti incombenze burocratiche per rimpatriare il corpo della figlia di quattro anni; e che, solo pochi mesi dopo, gli accadesse di seguire un’altra vicenda dolorosa, quella che avrebbe portato alla morte per cancro la sorella della sua compagna, che era stata «un grande giudice», strenuamente impegnato al fianco delle vittime del sovraindebitamento. C’è un solo modo per ricevere il dolore degli altri, ci dice Carrère: dargli voce, farlo diventare il proprio dolore. Ed è questo il compito che si è assunto come romanziere, riuscendo a scrivere – senza mai cadere nell’enfasi, ma mettendo a fuoco con la precisione ossessiva di un reporter ogni minimo particolare – il suo libro più lacerante e temerario.
Il libro più empatico, e più temerario, di Carrère – quello in cui l’autore sceglie di mettersi da parte e dare voce al dolore degli altri.