James Hillman
Il mito dellanalisi
Saggi. Nuova serie, 4
1991, 9ª ediz., pp. 385
isbn: 9788845908583
Si può dire che questo libro segni il più importante sviluppo della psicologia analitica dopo la morte di Jung. James Hillman ha qui messo in questione lanalisi stessa con una radicalità e una consequenzialità che sconvolgono e scalzano ogni possibile routine delle varie scolastiche (junghiane non meno che freudiane). Dopo che per decenni lanalisi ha preteso di sezionare il mito, qui per la prima volta ci si chiede: qual è il mito che sta dietro allanalisi e la determina nel profondo? La risposta sarà asciutta e dura: quel mito è un mito di dominio (e implicitamente di persecuzione), che risale ad Apollo e alla sua terribile ambiguità di guaritore/distruttore. Quel mito, non a caso, è lunico che lanalisi ha sempre dimenticato di analizzare. E da esso non discende soltanto tutta la pratica clinica positivistica (da cui è germogliata, fra laltro, la psicoanalisi), ma anche tutta una strategia offensiva che la nostra civiltà ha usato in vari àmbiti. Da esso discende quel processo che ha spinto tutto lOccidente a degradare, in fasi successive, limmaginazione, lanima e il femminile, a farne le tre potenze oscure che bisogna innanzitutto ingabbiare. E qui Hillman ci ha dato una magistrale dimostrazione storica, ripercorrendo la formazione del linguaggio della patologia, che ha voracemente inghiottito nella malattia aree immense della vita, e le vicende del mito della inferiorità femminile. Su questultimo tema, sul quale valanghe di scritti si sono ammassate in questi ultimi anni, si direbbe non esista nulla di altrettanto acuto e sostanzioso del saggio di Hillman che forma la Terza parte di questo libro.
Ma, una volta individuati i crudeli segreti che presuppone la pratica dellanalisi, quali vie si aprono (se si aprono)? Per sfuggire alla vendetta di Apollo, dice Hillman, non rimane che affrontare il problema freudiano del «termine dellanalisi» nella prospettiva addirittura di una fine dellanalisi stessa. Riprendendo una splendida immagine di Keats, che parla del mondo come della «valle del Fare Anima», Hillman riconduce tutto ciò che possiamo salvare dellanalisi a questa oscura attività di autoelaborazione dellanima, di trasformazione alchemica del vissuto. Cadranno ovviamente, a questo punto, tutte le inconsistenti pretese scientifiche, che già Jung usava soprattutto per non spaventare troppo i benpensanti. Rimarrà, invece, in tutta la sua potenza, il contatto con le grandi immagini, quellitinerario fra gli archetipi che Jung aveva delineato e Corbin aveva indicato come via dellimmaginale e allimmaginale. Ma questa volta non ci farà da guida laccecante luce apollinea, anzi qui sarà essenziale, come in una prova delle favole, «spodestare lanalista interno, che ha una poltrona nella nostra mente», per avviare quella «trasformazione della psiche in vita» che sfugga finalmente alla «maledizione dello spirito analitico».
Il mito dellanalisi è stato pubblicato per la prima volta nel 1972.