1970 / pp. 216 / € 0,00
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A dieci anni dal suo primo libro (Questo, Adelphi), Franco Donatoni prosegue qui la sua strenua, singolarissima indagine sul comporre musicale. Questo era tutto dedicato alla «rettifica di un errore», musicale e non solo musicale, commesso da Donatoni stesso in passato, e ampiamente praticato da altri illustri compositori, nel trarre le conseguenze di quello sconvolgimento rivelato nella musica da John Cage con la sua riflessione sul caso – sconvolgimento per altro implicito in tutta la storia della musica, dai grandi romantici in poi, e oggi soltanto chiamato per nome. Nelle pagine di Questo l’attenzione si concentrava su ciò che Donatoni chiama «il conseguente» (il risultato della pratica musicale) e sui procedimenti che lo producono. Ma quel «conseguente» rimandava sempre a una sua oscura origine, detta «l’antecedente». Ed è appunto ad essa che Donatoni rivolge qui il suo implacabile acume analitico, evocando quella necessaria e incontrollabile controparte: «sogno, intuizione, immagine, visione, idea, fabulazione, fantasticheria, riflessione», l’antecedente ora «compare sulla scena. Separato, schivato, glissato, pronunciato sottovoce, immodesto corsivo nella ruvida compattezza del testo antico, l’antecedente camuffato da tableau vivant esige spazio e sguardo, e nudamente si espone, così come può essere consentito alla parola di denudare la visione». Donatoni si inoltra qui dunque nella parte intima, più segreta e muta dell’attività compositiva. Ma si disilluda subito chi suppone che Donatoni intenda chiarire ciò che per sua natura non può essere chiarito ma che al massimo, e per bagliori, può chiarire noi. Qui, come già in Questo, Donatoni ci invita a un viaggio temerario, di là dai miraggi dell’Opera e, soprattutto, di là dai corrispondenti miraggi del Soggetto. Gli elementi tra cui ci aggiriamo non saranno dunque i soliti attrezzi di una ‘poetica musicale’, ma potenze a essa precedenti: l’Immagine, in quanto «si annuncia, si rivela, s’impone come una realtà non ordinaria» e del tutto sottratta alla volontà; e il Numero, quell’«antecedente di ogni antecedente» che «non obbedisce al linguaggio istituito dagli uomini, non tesse tele comprensibili, non misura millenni e galassie», bensì «compone gli arabeschi del destino, revoca epifanie, promette adempimenti, formula presagi, intrica labirinti, celebra misteri dai quali l’io è assente». Intrecciata a questo nuovo capitolo di una tortuosa e appassionata autobiografia musicale, si incontrerà una critica spesso indiretta, ma ugualmente distruttiva, di quella pratica compositiva degli anni recenti che, sulle rovine grandiose della Neue Musik (intesa nel senso ristretto della musica di Darmstadt degli anni cinquanta, guidata da Boulez e Stockhausen), ha tratto gli auspici per una «grande liberazione dei linguaggi», segnale di un definitivo arrendersi alla facilità. La via di Donatoni, invece, come indica il sottotitolo adorniano, rimane una testimonianza di fedeltà alle «difficoltà del comporre».