Hippolyte Taine
Étienne Mayran
Piccola Biblioteca Adelphi, 221
1988, pp. 178
isbn: 9788845903007
Verso i trent’anni, nel 1861, Taine si lanciò nell’impresa di questo romanzo, che sarebbe poi rimasto incompiuto e unico nella sua attività di scrittore. Non è difficile intuire perché Taine lo abbia interrotto: con la storia, amara, sordida e allucinata dell’educazione di un ragazzo come «animale da concorso», era la sua vita stessa che veniva svelata, nella sua zona più intima, là dove un giorno fu scosso da una temibile crisi, qui raccontata. Così Taine troncò di netto il romanzo, che apparve postumo nel 1910, preceduto da una penetrante prefazione di Paul Bourget. Ma quanto ci resta dell’Étienne Mayran rimane comunque prezioso: per la cruda intensità della scrittura, che ricorda, soprattutto nel tema delle allucinazioni della disciplina di collegio, il Louis Lambert di Balzac, e per la sottigliezza dell’analisi, che ci svela attraverso quale serie torturante di prove veniva a formarsi l’impalcatura intellettuale di Taine. E come quell’impalcatura stessa fosse (ed è la sua prima virtù) radicalmente ambigua, in quanto devota dell’asciuttezza dell’analisi e al tempo stesso «delle sensazioni veementi, delle parole, delle immagini». Il giovane Étienne Mayran rischia di spezzarsi per questa tensione. Ma Taine, il suo creatore, ne sarà nutrito per tutta la vita: per lui, capire fu davvero l’unico modo che abbia l’uomo per placare «il sordo singhiozzo delle esequie interiori».