Hippolyte Taine
Le origini della Francia contemporanea - L’antico regime
Classici
1986, pp. 764
isbn: 9788845902215
Le origini della Francia contemporanea di Taine è una delle opere più importanti e – osiamo dirlo – più belle della storiografia contemporanea, ma anche una delle meno frequentate; tant’è che per decenni è stata irreperibile nel paese di cui qui si parla. Taine concepì le Origini, a cui dedicò gli ultimi ventidue anni della sua vita (quando morì doveva ancora scrivere gli ultimi tre capitoli), dopo aver patito i disastri della guerra franco-tedesca del 1870. Allora riaffiorò in lui una sensazione che aveva avuto nel 1849, ai tempi in cui era sottoposto alla crudele ascesi dell’École Normale. Davanti alle prime elezioni in cui avrebbe potuto votare decise di astenersi, così ragionando: «Sì, per votare dovrei conoscere lo stato della Francia, le sue idee, i suoi costumi, le sue opinioni, il suo avvenire. Perché il vero governo è quello che conosce la civiltà di un popolo». Nella Prefazione alle Origini, Taine si ricordò di quel momento: ma ora, dopo tanti anni, era in grado di darsi una risposta: «Bisogna sapere come questa Francia si è fatta o, meglio ancora, assistere da spettatori alla sua formazione». Questa formula è l’accenno più esplicito a quel progetto di storia totale a cui Taine si dedicò. Rispetto allo sguardo di Michelet, per il quale la storia era innanzitutto una «resurrezione», una smisurata evocazione allucinatoria, quello di Taine pretende di essere più freddo, affine a quello di un entomologo che osserva le metamorfosi di un insetto. Così almeno dichiara Taine stesso. Ma le dichiarazioni di intenti che costellano le sue celebri prefazioni sono state per lui quanto mai pericolose e svianti. Alcune di quelle formule («la razza, l’ambiente, il momento» o «il vizio e la virtù sono dei prodotti come il vetriolo o lo zucchero») si sono fissate nella mente dei lettori e hanno finito per sostituirsi alle sue opere, finché le opere caddero in disaffezione e rimase soltanto memoria delle formule. Lo sguardo dell’entomologo non segnala in Taine una supposta freddezza scientifica, ma quello scarto rispetto al reale che è proprio di tutti i grandi della décadence. Questo infatti fu Taine innanzitutto, come riconoscevano i suoi commensali ai dîners chez Magny, o certi suoi ammirati lettori della generazione successiva, come Nietzsche o Bourget. Rispetto a Michelet, Taine dunque non si oppone come l’osservazione sobria all’allucinazione, ma come l’allucinazione della décadence alla allucinazione romantica. Per un verso la mente di Taine è sistematica, inquisitiva, vuole scoprire le cause, ricostruire punto per punto come mai l’antico regime dette luogo alla mutazione rivoluzionaria, e poi al regime borghese. Ma per un altro verso Taine è un grande scrittore, incognito persino per se stesso: vuole dare forma, rappresentare, per il puro piacere della forma, come Flaubert. Questa tensione attraversa tutta l’opera di Taine, e talvolta l’ha tarpata. Ma nelle Origini avviene il contrario: i due poli si potenziano a vicenda, la tensione si esalta, in evidenza spiccano sia la nervatura intellettuale sia lo splendore della rappresentazione. Dall’Antico regime ci viene incontro, con imponente nettezza, la sensazione di un organismo che respira, desidera, odia, si abbandona alle sue cerimonie, ai suoi passi di danza, ai suoi capricci, ai suoi rancori. Chi vuole avvertire subito il sapore penetrante, improbabile ed effimero del Settecento francese non ha che da aprire una qualsiasi pagina dell’Antico regime. In breve, ciò che Taine ci offre è la fisiologia di una civiltà.
L’antico regime, prima delle tre parti delle Origini della Francia contemporanea, fu pubblicato nel 1876.