La nostalgia per un Medioevo carico di incanti, di vita bruta e arcana; un clima di storia che partecipa ancora del mito, dove incontriamo cavalieri, castelli, intrighi, malie, e possenti istituzioni quali il tribunale della Santa Vema: tutte le inclinazioni dell’epoca si riconoscono chiaramente in quest’opera, che è uno dei grandissimi testi del teatro romantico. Ma il dramma che Kleist costruisce su tali basi è di una modernità sconcertante: la protagonista, Käthchen – una meravigliosa figura femminile, tra i rari personaggi teatrali che creano da soli una categoria –, vive in ogni istante in due mondi, quello della veglia e quello del sogno. Nel primo è una sorta di pura folle, che segue con splendente dedizione un uomo che è il suo destino; nel secondo, un continuo flusso di vita da un ignoto altrove le fa divinare, con sicurezza di sonnambula, i casi della vita reale. La sovrapposizione, e infine il dolce combaciare, di questi due piani è il tema segreto del dramma: l’integrità velata dei due mondi, diurno e notturno, simbolicamente uniti nel destino di una innocente che attraversa illesa il rogo della realtà.
Dopo aver pubblicato nel 1808 il primo e il secondo atto di questo «grande dramma storico-cavalleresco» sulla rivista «Phöbus», Kleist ne diede alle stampe la versione completa nell’autunno del 1810. Käthchen di Heilbronn venne messa in scena per la prima volta a Vienna il 17 marzo 1810 al Theater an der Wien, e da allora rimase l’opera più rappresentata di Kleist in tutto il XIX secolo.