Pedro Calderón de la Barca
La vita è sogno
Il dramma e l’«auto sacramental»
A cura di Luisa Orioli
Numeri rossi
1967, pp. XVI-364
isbn: id-1537
Il risveglio al libero arbitrio, il passaggio sconvolgente della grazia, la necessità della caduta originaria, infine la violenza imposta per natura dal cielo all’uomo, paradossalmente equilibrata dalla violenza compiuta dall’uomo contro il cielo, nel breve intervallo di sogno fra le analoghe oscurità della nascita e della morte, questi sono i segni centrali della Vita è sogno. Segni soverchianti e intrattabili, che sembrerebbero impedire quella plasticità e individuazione nel particolare che sarebbero più tardi diventate il metro della invenzione teatrale. Eppure il dramma si articola con rapidità, irrimediabile, fra barbagli di immagini, nella cornice incantata di rupi e corti remote. Abbandonando ogni rigido schematismo allegorico, Calderón si serve della teologia come della suprema macchina teatrale, l’unica che gli può permettere di congiungere nella concettosità labirintica una vicenda irripetibile e irriducibile con un modello universale e atemporale legando cioè il puro teatro a una sorta di liturgia cosmica. Egli arriva a creare questo portentoso ibrido attraverso un uso «talismanico» della parola, che in lui ci appare sempre, secondo la definizione di Walter Benjamin, come un continuo «potenziamento romantico del discorso».
Così un’apparenza poetica inscalfibile, preziosa, suggella La vita è sogno, lo espone intatto da secoli a nuove letture e scoperte, forse come l’unico dramma che accetti e vinca la sfida di rappresentare in una sola immagine comprensiva l’intera estensione dell’esistenza. Pur nella puntigliosa fedeltà al testo e alla sua musicalità, la versione di Luisa Orioli riesce, come raramente accade, a essere di per sé opera di poesia.