2019 / pp. 153 / € 12,00 € 11,40
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Biblioteca Adelphi
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Quando nel 1893 Hofmannsthal scrisse il racconto Giustizia, primo di questa raccolta, aveva diciannove anni: il suo stile era già perfetto, una prosa quasi condannata alla maturità e alla limpidezza, dove risalta ogni minima crepa – come in certe mirabili tazze giapponesi che così vengono fatte perché la loro bellezza sia più naturale. In quel racconto appare un angelo, «uno degli snelli paggi di Dio», e chiede al govane autore, traendo il suo stiletto dal fodero: «Sei un giusto?». E, all’inadeguata risposta, ribatte: «Giustizia è tutto, giustizia è la prima cosa, giustizia è l’ultima». Si può dire che tutta l’opera di Hofmannsthal sia stata una risposta alla domanda dell’angelo: la sua vertiginosa precisione estetica accenna sempre a quella «giustizia» come alla sua origine, secondo le parole di Gregorio di Nissa che Hofmannsthal pose a motto dell’intera sua opera: «Egli, l’amatore della suprema bellezza, ritenendo ciò che aveva visto quasi un’immagine di ciò che non aveva visto ancora, aspirava a goderne l’originale medesimo». È questo il sottinteso che vibra in tutti i racconti qui riuniti, scritti fra il 1893 e il 1913 e in parte pubblicati postumi. Hofmannsthal raggiunge in queste pagine alcuni vertici della sua arte, per esempio nella Mela d’oro, che dà il titolo al volume e che pure è rimasto incompiuto, come l’Andrea, quasi che Hofmannsthal si rifiutasse di appagarsi di ciò a cui il suo genio naturalmente lo inclinava: chiudere la perfezione in una figura.