2019 / pp. 333 / € 15,00 € 14,25
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Adelphi eBook
2020 / pp. 333 / € 7,99
Sigismondo e Anna, fratello e sorella, giovanissimi, si ritrovano, in occasione della morte del padre, nel maniero di famiglia. Si scrutano, sentono riaffiorare la complicità infantile. Ma a lungo non osano dirsi che sono follemente innamorati uno dell’altra. Questa situazione ricalca perfettamente (e il richiamo è una sfida) quella della seconda parte dell’Uomo senza qualità di Musil, quando Ulrich e Agathe si ritrovano. Ma il parallelo va ben oltre: come Ulrich e Agathe, una volta abbandonati al loro amore, cercheranno le «isole felici», in Polinesia, così anche faranno Sigismondo e Anna. Con una decisiva variante: a loro tutto va bene. Eppure alla felicità si accompagna sempre un’angoscia sottile e invincibile, un senso di «voraginosa sospensione».
Questo romanzo estremo e provocatorio fu pubblicato da Landolfi nel 1965 e passò inosservato, come un vero libro fantasma. Le scarse voci dei critici sembrarono deprecarlo, perfino come «dannunziano», in ossequio alla perenne vocazione italica per il «politicamente corretto», che obbligò per almeno trent’anni dopo la guerra a tacciare di dannunzianesimo tutto ciò che sapesse di décadence, quindi di letteratura. L’equivoco era totale. Il linguaggio alto, perennemente sopra le righe, di Sigismondo non è certo quello di Andrea Sperelli ma di un altro Sigismondo, quello di Calderón nella Vita è sogno, e allude a uno stato di reclusione metafisica, di prigionia in qualcosa che, pur non essendo la realtà, non accetta neppure una qualche realtà esterna: ora, questa è appunto la condizione originaria di Landolfi, quella piaga tormentosa da cui stilla tutta la sua letteratura, in fondo anch’essa una passione colpevole. In questo romanzo dunque il gioco di Landolfi è particolarmente audace, e diviso su due tavoli: come vita e come letteratura. Nella storia dei due fratelli egli sembra avere racchiuso la sua immagine segreta di una felicità acuminata, «sulla punta di noi» – e il riconoscimento amaro, vibrante, di un’impossibilità che rode dall’interno qualsiasi forma della felicità.