Ci fu un luogo che, negli anni del Re Sole, osò sfidare Versailles per magnificenza e fulgore mondano: il castello di Sceaux. Lì teneva corte la duchessa del Maine, figlia del gran Condé, ambiziosa tutrice delle fortune dinastiche del marito, nato dalla relazione di Luigi XIV con Madame de Montespan. A Sceaux convergevano e si prodigavano le più belle menti dell’epoca, da Fontenelle a d’Alembert a Voltaire, e a Sceaux visse, testimone e complice, ancella devota e osservatrice lucidissima, Rose Delaunay, che un tardivo matrimonio di convenienza trasformerà in Madame de Staal.
Non bella, ma capace di esercitare una profonda seduzione intellettuale, Rose entra a servizio di Madame du Maine con l’avvilente ruolo di domestica – condizione che non le si addice, e che a poco a poco riuscirà a riscattare con la forza del suo esprit e con la sapienza della sua penna. Divenuta lettrice e confidente, assiste e partecipa alla vita e agli intrighi della duchessa, e in particolare alla cosiddetta «Congiura dei Bastardi» contro il Reggente, duca d’Orléans. Rinchiusa alla Bastiglia, vi soggiorna per cinque mesi, e conosce per la prima volta l’amore, un amore breve, che le si nega nell’istante stesso in cui viene rimessa in libertà: «Fu quello il solo periodo felice della mia vita. Chi mi avrebbe detto che proprio lì mi aspettava la felicità, e che in nessun altro luogo l’avrei mai più trovata?». È il momento centrale delle Memorie: complotti, spie, segreti, carrozze a doppio fondo, messaggi cifrati, confessioni estorte e galanterie carcerarie vivono sulla pagina come un grande teatro del quale la Delaunay regge le fila con mano salda e non senza ironia. Secondo Sainte-Beuve – grande ammiratore di una scrittura che reputava «semplicemente perfetta e definitiva» –, Madame de Staal «inaugura un genere e un tono che saranno peculiari alle donne del secolo diciottesimo».
Le Memorie apparvero postume nel 1755.