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Il villaggio dei solenni Meo, nel Laos, pervaso dall’odore «di immensa stravaganza» dell’oppio, dove tutto sembra sospeso; il lampo d’oro, destinato a durare per l’eternità, che gli occhi e i capelli di Ignazio, l’amico adolescente, mandano un giorno su un campo da tennis; la tigre avvolta dalla nebbia e come «distesa su piume o aria» che appare d’improvviso, alla luce dei fari, su una strada della Malesia; il pavillon fuori moda dove – fra spumeggianti bicchieri di Itala Pilsen, giovani donne fasciate di seta e ufficiali tedeschi col monocolo – pochi minuti di oscuramento e il fischio degli Stuka possono condensare la guerra; l’«arruffio di gesti tutti precisamente sintonici» che nel ricordo si rivelerà essere l’amore; lo sguardo appannato, «come una pellicola selvatica poggiata sulla cornea», di una delle più famose spie, Kim Philby, colto in un albergo di Mosca. Sono gli inattesi lampi di verità, gli improvvisi scatti della memoria, le irripetibili manifestazioni dell’arte della vita offerti ai lettori del «Corriere della Sera» fra l’aprile del 1982 e il marzo del 1983: e non è un caso che, quasi a radunare idealmente questi brevi testi di massima densità in un terzo e più malinconico ‘sillabario’, Parise avesse scelto la rubrica Lontano. Perché quello che si impara – sembra dirci Parise – lo si impara di colpo, da un momento all’altro, ma per lo più nel ricordo, quando ormai è troppo tardi. E il mistero lo si può forse risolvere, ma una sola volta e per qualche secondo – e come «azzeccarlo, nella instancabile roulette»?