Jorge Luis Borges
La moneta di ferro
Piccola Biblioteca Adelphi, 578
2008, pp. 141
isbn: 9788845923272
Nel 991, l’esiguo drappello di sassoni scampato a un attacco vichingo sulle coste dell’Anglia orientale decide di non sopravvivere al suo signore caduto in battaglia; solo Werferth, il cantore, fuggirà, per tramandare la memoria di quel giorno: «li vide perdersi nella penombra del giorno e delle foglie, ma alle sue labbra già affiorava un verso». Così Borges, appassionato cultore della «germanistica d’Inghilterra e d’Islanda», immagina si sia svolta la storica battaglia di Maldon. E il gesto di Werferth, deciso a salvare quel che il «vento del tempo» travolge, potrebbe essere l’insegna della Moneta di ferro, che, pubblicato nel 1976, raduna poesie (oltre a due testi in prosa) per lo più redatte nell’arco di un anno, a ridosso di eventi decisivi: la scomparsa della madre, dolorosa ma liberatoria, la felicità di un amore corrisposto, il lungo soggiorno a East Lansing, nel Michigan, insieme a María Kodama, la caduta di Isabelita Perón. Si tratta di salvare, nel caso di Borges, la memoria perduta di ciò che ha visto, la memoria impossibile di ciò che non ha mai conosciuto o forse ha solo sognato: come Eraclito, finzione immaginata ai bordi del Red Cedar per non pensare a Buenos Aires e ai suoi volti amati, o Spinoza, il mago dagli occhi tristi e la pelle citrina che dà forma a Dio con la parola. «Ho commesso il peggiore dei peccati / che un uomo può commettere. Non sono stato / felice» recita la splendida Il rimorso; ma è difficile non cogliere in questa autoaccusa uno sguardo più sereno – quasi una rigenerazione, capace di trasformare in miele anche l’ultima goccia della clessidra.