2011 / pp. 155 / € 18,00 € 17,10
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«Ad Abacrasta, di vecchiaia non muore mai nessuno, l’agonia non ha fottuto mai un cristiano. Tutti gli uomini, arrivati a una certa età, si slacciano la cinghia e se la legano al collo. Le donne usano la fune». Al bambino che chiede il perché, la nonna risponde solo che quando la Voce ti chiama tu non puoi fare altro che ubbidire. Ma un giorno, non si sa da dove, è arrivata in paese «una femmina cieca, con i capelli lucidi come ali di corvo e i piedi scalzi»: ha detto di chiamarsi Redenta Tiria, e di essere figlia del sole. Da quel giorno la gente di Abacrasta ha smesso di impiccarsi.
Questo il filo che regge la narrazione di Salvatore Niffoi, scrittore di Barbagia: scrittore rapace, è stato detto, fulmineo nel calarsi a ghermire la preda, e altrettanto nel risalire a dominare gli spazi. E le sue prede sono gli innumerevoli personaggi, o «creature», che descrive con pochi tratti di micidiale incisività, con una sorta di straniata e nera comicità, e insieme con la pietà di chi non è estraneo a ciò di cui parla, anzi ne fa intrinsecamente, visceralmente parte. Il minuscolo paesino di Abacrasta è un caotico e grottesco teatro del mondo, in cui ciascuna delle creature – quelle che finiscono «appese» come quelle che si salvano quando Redenta Tiria riesce a «tagliare la lingua alla Voce» – rappresenta una delle forme possibili che può assumere, nella sua beffarda, stupefacente molteplicità, la condizione umana. Con Niffoi si presenta finalmente un narratore vero, una voce che riconosciamo all’istante come quella, antichissima e vivificante, di uno scrittore di razza: capace di inventare una lingua insieme alta, primigenia e sensuale, ibridata di dialetto in un modo che non è mai futile o meccanico o folkloristico, ma sempre necessario, preciso e forte.