Jorge Luis Borges
L’artefice
Biblioteca Adelphi, 382
1999, 2ª ediz., pp. 218
isbn: 9788845915079
«Un giorno il mio amico Carlos Frías, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frías insistette, dicendo: “Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo”. Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa ... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero L’artefice». Così, con somma sprezzatura, Borges racconta la genesi di quello che è forse il libro più ricco e personale della sua maturità, quello in cui la sua scrittura raggiunge una misura e una classicità destinate a rimanere insuperate: Borges è l’Ulisse che, «stanco di prodigi, / pianse d’amore quando scorse Itaca / umile e verde», poiché l’arte è «questa Itaca / di verde eternità, non di prodigi». Compongono questa sorta di «raccogliticcio e disordinato» zibaldone 24 brani in prosa composti fra il 1934 e il 1959 («abbozzi e parabole» piuttosto che poemi in prosa) e 29 poesie, per lo più recenti, che documentano, a distanza di quasi un trentennio dalla pubblicazione del Quaderno San Martín e dopo la grande stagione narrativa degli anni Quaranta e Cinquanta, il secondo – e magistrale – esordio del Borges poeta. Qui il lettore troverà alcuni degli scritti che meglio realizzano quel pensativo sentir che costituì il suo ideale poetico: pochi testi come L’artefice, Parabola del palazzo, Borges e io (sul versante della prosa) e Gli specchi, Scacchi, Poesia dei doni, Arte poetica, La luna (sul versante della poesia) esprimono altrettanto felicemente il sentimento borgesiano dell’esistenza, il suo continuo interrogarsi sul mistero dell’identità, della realtà, del tempo e, naturalmente, sull’essenza della parola e della letteratura.