1979 / pp. 206 / € 0,00
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Attraverso l’occhio di una bambina – l’occhio cupo e chiaroveggente della vittima – uno stupro, persecuzioni, violenze subite e compiute che sconnettono la compagine della realtà. Siamo a Roma, in una famiglia ebraica, verso la fine dell’occupazione tedesca.
L’occhio si ritrae dai fatti, li respinge, riesce solo a tessere una rete continua di immagini in trasformazione, un incubo circolare e inarrestabile: una casa piena di presenze, in ogni angolo, l’ossessione del sangue e del corpo, frammenti sacri della tradizione ebraica che irrompono nel presente, lo disintegrano e si disintegrano, un limbo di estraneità in una città invasa da una torbida allucinazione.
Ma il fatto è sempre assente. Enorme, troppo vicino o troppo lontano, il suo senso sfugge, eppure regge tutto e persiste «in contumacia». La scrittura si accanisce a impadronirsene, ma riesce solo ad allontanarlo. I confini precisi della situazione si disfano: dietro la violenza immediata della guerra e della persecuzione affiora una violenza precedente, più ambigua, che minaccia da sempre la vita sotterranea del ghetto, la rinchiude nella prospettiva della tortura e della ripetizione. E, dietro ancora, si presenta l’immagine di un potere dalla perfetta ambivalenza, un potere dell’origine, che si manifesta ormai solamente nell’aspetto nefasto della brutalità senza nome: l’ombra del Golem sconsacrato, il vero protagonista di questo romanzo, il segreto che resterà sempre «in contumacia».