August Strindberg
Verso Damasco, I-III
Classici
1974, pp. 325
isbn: 9788845900280
Dopo la grande crisi in cui si era sentito precipitare, spinto dalla «mano dell’Invisibile», a Parigi, nel 1895, Strindberg volle dare una nuova forma teatrale a quel materiale bruciante di esperienze appena vissute, da cui era già nato Inferno. Ma, questa volta, si trattava di condensare in un’unica parabola tutto il percorso tormentoso e perennemente contraddittorio della sua vita: con tale intenzione, Strindberg cominciò a scrivere, all’inizio del 1898, quella che sarebbe diventata la trilogia di Verso Damasco, la sua opera teatrale dalla concezione indubbiamente più audace.
Per Strindberg, il pellegrinaggio verso Damasco non è certo un ordinato susseguirsi di tappe sino a una folgorazione definitiva, che possa richiamare quella di san Paolo: al contrario, è un labirinto onirico dove le tracce si confondono in ogni momento, una spirale oppressiva dove i brandelli del passato si rimescolano malignamente, dove ogni decorso lineare viene negato dal continuo ripetersi e sdoppiarsi delle situazioni, e dove ogni sperato sbocco si rivela ben presto essere una beffa delle Potenze. Questa geniale concezione dell’opera, che rompe brutalmente con le convenzioni teatrali dell’epoca e sembra contenere in germe tanti sviluppi del teatro del Novecento, è oggi più che mai sorprendente. Meno immediato da cogliere è il peculiare tono del testo, in cui Strindberg fa avvicinare e a volte combaciare, come già in Inferno, il sublime e il ridicolo. Le astrazioni più rarefatte e la più greve fanghiglia autobiografica tendono continuamente a mescolarsi: dietro trasparenti schermi allegorici è facile riconoscere in vari personaggi di Verso Damasco figure decisive per la vita di Strindberg, quali per esempio le due mogli abbandonate e, in altri, altrettanti Doppi dell’autore stesso, carichi tutti di quelle tensioni feroci, di quei rancori e livori che per la prima volta con lui apparivano bruscamente sulla scena. Il rapporto dilaniante con la donna, le oscillazioni fra la blasfemia e la fede, il sogno demiurgico dell’alchimista, la lotta accanita contro le Potenze e la loro persecuzione – tutti temi costanti e ossessivi nella vita e nell’opera di Strindberg – si raccolgono qui in una fantasmagoria che ha tratti di grandiosa potenza visionaria. E la forza di queste ossessioni è tale che l’approdo ultimo del dramma alla pace claustrale non potrà che apparire illusorio, se non come perno che regge la vorticosa rotazione delle apparenze e delle allucinazioni.