August Strindberg
Teatro da camera
Maltempo - Casa bruciata - Sonata di fantasmi - Il pellicano - L’isola dei morti - Il guanto nero
A cura di Luciano Codignola
Classici
1968, pp. 360, 1 tav.
isbn: 9788845900204
Nei primi mesi del 1907, dopo una già lunga e accidentata carriera di autore drammatico, Strindberg si trovò a disporre di un teatro dove mettere in scena sue opere vecchie e nuove: il Teatro Intimo di Stoccolma, creato sul modello del Kammerspielhaus di Max Reinhardt. Per questo teatro egli scrisse, in soli sei mesi, un gruppo di opere che rappresentano, in ogni senso, la punta estrema della sua produzione drammatica: articolate come una serie di composizioni musicali (Opus 1, 2, 3, 4), Maltempo, Casa bruciata, Sonata di fantasmi, Il pellicano (a cui fece seguito, a distanza di un anno e mezzo, Il guanto nero, Opus 5) rielaborano e condensano al massimo grado alcune grandi ossessioni che hanno accompagnato la vita di Strindberg. Come dimostra Luciano Codignola nel saggio pubblicato in appendice, la casa, il fuoco, la resa dei conti, motivi simbolici che erano già costantemente presenti in tutta l’opera precedente, vengono portati nei Drammi da camera a un confronto ultimativo, che si impone con la lucidità dell’allucinazione. In questi testi, come in molte parti dei romanzi autobiografici, la visione parossistica, surriscaldata di Strindberg sembra non sopportare la distanza dell’immagine, brucia la metafora per trasformarla in lettera, e viene così irretita nella fatalità della lettera, in una partita inesorabile di dare e avere, dove ogni segno, anche il più incongruo e irrelato, sposta la bilancia di una macchinosa contabilità cosmica. In opere come queste, tese fino all’insostenibile, non meraviglia che Strindberg abbia rinvenuto e applicato princìpi formali che sono a tutt’oggi di una sorprendente novità. Ancor più che anticipare il teatro del secolo, questi Drammi da camera sembrano sottintenderlo. Arrivato all’ultima fase della sua vita, Strindberg accentua sempre di più la sua caratteristica capacità di passare fulmineamente attraverso forme nuove, senza soffermarsi, portato da una passione che guarda oltre il risultato letterario, preoccupato di sgombrare lo spazio per una sola scena, impossibile e sempre latente: il terribile risveglio di un universo di sonnambuli.
«Non leggo Strindberg per leggerlo, ma per posare la testa sul suo petto. Egli mi tiene come un bambino sul braccio sinistro. Vi sto seduto come un uomo su una statua. Dieci volte in pericolo di scivolar giù, all’undicesimo tentativo siedo saldamente, sono sicuro, e godo di un ampio orizzonte» (Franz Kafka).