Ritrovato fra le carte abbandonate nella camera d’albergo dove Ernst Weiss si tolse la vita, Jarmila – che ebbe in Stefan Zweig il suo primo, fervido estimatore – è il racconto di una possessione amorosa divorante, capace di sprofondare un uomo nel delirio. Tutto comincia con un malefico orologio che «segna un tempo assurdo» e sembra farsi beffe del suo proprietario, un commerciante in viaggio d’affari a Praga, sconvolgendo coincidenze ferroviarie e appuntamenti di lavoro. Ma le sue lancette impazzite segnano un altro appuntamento, fatale. Sotto le massicce volte gotiche di una locanda di piazza Venceslao dall’atmosfera torpida e fumosa, uno strano venditore di giocattoli meccanici dagli occhi disuguali prende in consegna l’orologio per ripararlo e, mentre con gesti da negromante ne smonta il capriccioso congegno, si abbandona, irresistibilmente, al flusso dei ricordi. Rivivono così davanti agli occhi dell’ascoltatore, e del lettore, la passione per la splendida Jarmila, vorace e indecifrabile, e le sue funeste conseguenze. Ma le sottili crepe che si aprono nella confessione, in cui balugina un pathos demoniaco, lasciano presagire che alla storia manca ancora un epilogo. Un epilogo che la chiuderà come un sortilegio.
Scritto nel 1937 ma pubblicato postumo, Jarmila viene qui proposto nella sua prima traduzione italiana.