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Anche in assenza di precise notizie, non è difficile immaginare che nella sua carriera di pubblicitario Davis Grubb mai avesse lanciato un prodotto con un accorgimento efficace come quello con cui nel 1953, al suo esordio, presentò Harry Powell alias il Predicatore, cioè lo psicopatico più seducente e abominevole che si ricordi: quattro lettere tatuate sulle dita della mano sinistra (hate) e quattro su quelle della destra (love). Il resto – e si intende la costruzione di un gotico tutto americano, dove le luci dell’espressionismo proiettano lunghe ombre sul paesaggio spettrale del Midwest – lo ha fatto il film diretto due anni dopo da Charles Laughton e interpretato da Robert Mitchum: ogni scena sembra girata per imprimersi, come in effetti è avvenuto, nella memoria. Tanto più sorprendente sarà allora tornare al testo d’origine: la storia, scopriremo, è qualcosa di più, se possibile, dei fatti che la compongono (e che ruotano intorno a un bottino di cui solo i bambini nelle mani del Predicatore conoscono il nascondiglio), è un’omelia nera, una lunga e cupa ballata atroce almeno quanto le filastrocche infantili che di tanto in tanto la interrompono, risuonando nel vuoto.