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Charles Bonnet, naturalista ginevrino del Settecento, si era occupato di tutto: dall’entomologia alla riproduzione dei polpi, dalla botanica alla filosofia. Quando seppe che suo nonno, ormai semicieco, iniziava ad avere «visioni» di strani oggetti flottanti e di ospiti immaginari, volle stenderne un minuzioso resoconto, che passò inosservato per oltre un secolo e mezzo. Oggi la sindrome descritta da Charles Bonnet, che collegava l’insorgere di stati allucinatori con la regressione della vista – come se il cervello intervenisse, a modo suo, per compensare il senso perduto –, è ormai riconosciuta dalla letteratura medica, anche se viene raramente diagnosticata perché le allucinazioni sono associate alla demenza, alla psicosi, e chi ne soffre tende spesso a tacerne. Ma non è sempre stato così: in altri tempi e in altre culture, gli stati alterati di coscienza venivano percepiti come condizione privilegiata – da ricercare e indurre con la meditazione, l’ascesi, le droghe – e hanno influenzato l’arte, il folclore, il senso del divino. Con questa «storia naturale delle allucinazioni» Sacks aggiunge un ulteriore tassello alla sua «scienza romantica», capace di tramutare la casistica medica in una forma d’arte empatica. E prosegue il racconto autobiografico avviato con Zio Tungsteno: dopo l’infanzia, scopriamo così la giovinezza del neurologo più famoso del mondo, trascorsa sulle spiagge della California e costellata di azzardate sperimentazioni psicotrope. Allucinazioni olfattive, uditive, tattili, spaziali, arti fantasma, Doppelgänger, epifanie mistiche, squilibri chimici: ogni argomento viene affrontato con la consueta capacità di immedesimazione, con curiosità ed eleganza innate, e analizzato sotto le lenti della ricerca specialistica, della letteratura e dell’esperienza – clinica e personale – di Sacks. Il risultato è una conferma di quanto scriveva Goethe: «La scienza è nata dalla poesia».