«Raymond Chandler sembra aver dato vita all’espressione culminante dell’eroe americano: giudizioso, ottimista, premuroso, audace, romantico, cinico e ribelle» («The New York Times Book Review»).

«Sono violenti e perfidi assassini. Sono mutanti e omosessuali lussuriosi. Sono guerrieri di un mondo a venire e sono giovani. Soprattutto giovani» (Tommaso Pincio)

«Shirley Jackson resta una delle grandi interpreti della letteratura dagli impulsi più oscuri» («The New York Times»).

Un libro nel quale si entra con una sensazione quasi di dolore e dal quale si esce «disperatamente felici».

«Shirley Jackson penetra con acume nelle tremende verità che si nascondono talvolta dietro comode finzioni» (Donna Tartt).

«L’elegante ritratto di un mondo in cui il male è totale e totalmente trionfante» («The Sunday Times»).

«L’unico romanziere americano vivente cui si possa attribuire del genio» (Norman Mailer).

«Il romanzo più perfetto di Nabokov» (Brian Boyd).

«Il mio unico rimpianto è che William Sloane non abbia continuato a scrivere. Se l’avesse fatto, sarebbe forse diventato un maestro del genere, o ne avrebbe creato uno completamente nuovo» (Stephen King).

«Venerdì santo, nell’anno in cui Ponzio Pilato non è l’unico a lavarsi le mani»: l’anno peggiore della pandemia visto da Alan Bennett.

Dall’autore di Stalingrado e di Vita e destino, un’immagine nitida e sconvolgente dello sterminio degli ebrei in Unione Sovietica, a guerra ancora in corso.

Cinque appuntamenti al buio con lo straniero, ovvero l’arte della traduzione.

«Ho partecipato a una grande battaglia persa per un rinnovamento effettivo della vita» (Varlam Šalamov).

Un Bennett in stato di grazia in due nuovi monologhi.

Il punto d’avvio di una ricerca che segnerà per gli stessi giapponesi la riscoperta di un patrimonio celato sotto i loro occhi.