Benjamin A. Vierling, Mandragora officinarum (2004).
BENJAMIN A. VIERLING
Adelina ha un destino segnato: quello di diventare ianara, come sua madre, come sua nonna. Al pari di loro, sarà in grado di attraversare ogni porta, anche quella che separa la vita dalla morte. E sarà dannata. Vivrà sui monti dell’Irpinia – una terra apparentemente remota dal resto dell’Italia – come una bestia selvatica; gli uomini e le donne verranno a supplicarla di aiutarli quando avranno bisogno di curarsi, di vendicarsi, o di liberarsi di un figlio non voluto – e la schiveranno come la peste se oserà avvicinarsi alle loro case. Per sfuggire al suo destino Adelina attraverserà «paesi, boschi e campagne», finché non giungerà in vista di un grande e magnifico palazzo: vi entrerà come l’ultima delle sguattere e – sorta di funebre, allucinata Jane Eyre, schiava amorevole e possessiva fino al delitto – servirà e accudirà con assoluta, cieca fedeltà il signore di quel luogo. Gli rimarrà accanto anche quando il palazzo sarà ridotto a una splendida rovina, quando più nessuno ci metterà piede per paura della maledizione che aleggia su di esso dopo gli eventi funesti (omicidi, apparizioni misteriose, un suicidio)che vi si sono succeduti – e lei, Adelina, sarà rimasta la sola ad aggirarsi silenziosa nelle immense sale vuote.
Con una lingua asciutta, potente, evocativa, Licia Giaquinto ci trascina in una trama fitta di storie e di magia, dove animali, uomini, cose si fondono e si trasformano di continuo. Così come è destinato a trasformarsi, di fronte a una minacciosa «modernità», il mondo arcaico che ci si squaderna davanti, e che ha anch’esso un destino segnato: quello di scomparire, per essere evocato solo da chi ancora ha il dono di saperlo raccontare.