Curzio Malaparte
Kaputt
Fabula, 207
2009, pp. 476
isbn: 9788845923715
La cantante lirica Irmgard Seefried
canta un’aria da Madama Butterfly tra le macerie
dell’Opera di Vienna (1945). Foto di Lee Miller
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A Stoccolma, in una chiara giornata di settembre, Malaparte incontra il principe Eugenio, fratello del re di Svezia. E nella villa di Waldemarsudden, in quella «dolcezza del viver sereno, che un tempo era stata la grazia dell'Europa», non può trattenersi dal raccontare ciò che ha visto nella foresta di Oranienbaum: prigionieri russi conficcati nella neve fino al ventre, uccisi con un colpo alla tempia e lasciati congelare, il braccio destro disteso, affinché, «polizia silenziosa», indicassero la strada. È solo la prima di una fosca suite di storie che, come un novellatore itinerante, Malaparte racconterà ad altri spettri di un'Europa morente: ad Hans Frank, Generalgouverneur di Polonia, a diplomatici come Westmann e de Foxá, a Louise, nipote del kaiser Guglielmo II. Storie che sin dagli anni Quaranta hanno inorridito e ammaliato i lettori di tutto il mondo. Storie in cui s'incarna la scomparsa di ciò che «di nobile, di gentile, di puro» l'Europa possedeva. Storie – o forse visioni, insidiose ed ossedenti – che si annidano nella memoria per non lasciarla mai più: il Ladoga, simile a «un'immensa lastra di marmo bianco», dove sono posate centinaia e centinaia di teste di cavallo, recise da una mannaia (i cavalli dell'artiglieria sovietica sorpresi dal vento che scende dal mare di Murmansk e imprigionati nel ghiaccio); il console d'Italia a Jassy, sepolto dal freddo peso dei centosettantanove cadaveri di ebrei che sembrano precipitarsi fuori, «come statue di cemento», dal treno che li deportava a Podul Iloaiei, in Romania; le mute rabbiose e affamate di cani muniti di cariche esplosive che, in Ucraina, i russi addestrano ad andare a cercare il cibo sotto il ventre dei panzer tedeschi. Storie, anche, malinconiche e gentili: quella dei bambini napoletani convinti dai genitori che gli aviatori inglesi sorvolano la città per gettar loro bambole, cavallucci di legno e dolci; o, ancora, quella delle ragazze ebree destinate al bordello militare di Soroca – e che fa dire a Louise «J'ai pitié d'être femme». Storie che ci trascinano in un viaggio lungo e crudele, al termine del quale vedremo l'Europa ridotta a un mucchio di rottami: «E sia ben chiaro» proclama Malaparte «che io preferisco questa Europa kaputt all'Europa d'ieri, e a quella di venti, di trent'anni or sono. Preferisco che tutto sia da rifare, al dover accettare tutto come un'eredità immutabile».