2014 / pp. 444 / € 34,00 € 32,30
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A Venezia, Quinzio annota: «Una società che costruisce le paradisiache cupole e volte d’oro di San Marco è necessariamente una società che costruisce infernali prigioni accanto allo splendore di Palazzo Ducale. Ontologia forte, orrenda ontologia forte, alla quale non vedo altra alternativa che la croce, o il nulla». Questo libro è una appuntita indagine su quella alternativa, in cui si intrecciano i fili di tutta la nostra storia, innanzitutto i due fili essenziali: quello greco e quello ebraico. Da tale intreccio sorgono la croce e il nulla: sbocchi scandalosi, e insieme inevitabili, di due concezioni divergenti della «verità» e della «parola». Nella visione di Quinzio, il nostro mondo pensa in categorie greche, ma si dedica a un culto furioso dell’azione perché pungolato nel profondo dalla parola ebraica, che vuole la redenzione del mondo. Si raggiunge così il lacerante paradosso di una vita che si pretende profana e moderna – e invece è squassata da una disperazione che ha un significato arcaico e sacrale: la disperazione di chi non sa rassegnarsi all’assenza della salvezza. Come in opere precedenti aveva interrogato e sondato le Scritture, Quinzio interroga qui la storia del cristianesimo, «prototipo e madre della storia moderna». E l’argomentazione coinvolge tutto il moderno, in quanto esso è «post-cristiano e anti-cristiano, nel senso che sta in luogo del cristianesimo, risponde in qualche modo alle aspettative di salvezza cristiana storicamente deluse». Sono squarci rapidi, brucianti, pagine che non si appagano di tracciare linee di una storia della cultura: anzi, la loro intenzione è quella di mettere in questione la cultura stessa, svelandola come relitto di un secolare naufragio. In questa prospettiva, non sussiste un processo evolutivo nella storia, se non nel senso che il tempo acuisce progressivamente l’eccesso delle contraddizioni – e queste si riconducono a un’unica fonte: la necessità della salvezza e il suo continuo sfuggire.