William Gerhardie
Futilità
Biblioteca Adelphi, 442
2003, pp. 231
isbn: 9788845917776
Quando era un giovane scrittore fuggito dalla Russia della rivoluzione, e del tutto ignoto, William Gerhardie scrisse una lettera gonfia di ammirazione a Edith Wharton, ricevendone in cambio un invito nella di lei villa a Hyères. Grazie a un certo uso di mondo (era pur sempre figlio di ricchi industriali inglesi trapiantati a San Pietroburgo) il timidissimo Gerhardie riuscì a mimetizzarsi fra gli altri invitati, e a non parlare con nessuno per quasi due giorni, fino a quando cioè non chiese alla sua corpulenta vicina di tavola di indicargli la padrona di casa, sentendosi rispondere un gelido: «Sono io». Solo un personaggio come questo poteva scrivere un romanzo come questo, forse lunica comica del muto ambientata nella Russia mezza bianca e mezza rossa degli anni Venti. Tutto cade in pezzi, ma il protagonista, Nikolaj Vasilevič, continua imperterrito a occuparsi delle sue miniere doro in Siberia e a coltivare l«incantevole bouquet» delle sue tre figlie, diversamente irresistibili. Il che non gli impedisce di accogliere in casa una folla smisurata di amanti, parenti in vario grado delle medesime, impostori, parassiti e mere comparse, che danno luogo a una sgangherata e sofisticatissima commedia di equivoci, sostituzioni, tradimenti. Il risultato è il libro di un magnifico stilista cui è davvero difficile attribuire precursori o epigoni, e che sembra secernere a ogni pagina, come scrisse Giorgio Manganelli, «una delizia volatile e aspretta».