Jorge Luis Borges
L’altro, lo stesso
Biblioteca Adelphi, 435
2002, 3ª ediz., pp. 263
isbn: 9788845917424
Ha scritto Borges: «Dei molti libri di versi che la mia rassegnazione, la negligenza e a volte la passione sono andate abbozzando, L’altro, lo stesso è quello che preferisco». Composto per progressivi incrementi intorno a un nucleo originario di sei testi – riuniti sotto il generico titolo di Altre poesie all’inizio degli anni Quaranta –, L’altro, lo stesso vede la luce nel 1964 e costituisce in effetti, con i suoi settantacinque componimenti, la più copiosa e senza dubbio la più rilevante delle raccolte poetiche di Borges. Una raccolta che ci consente di seguire, lungo l’arco di oltre un trentennio (il testo più antico è del 1934, e la silloge ne ingloberà di nuovi fino al 1967), l’evoluzione della sua scrittura poetica, dall’abbandono delle «innocenti novità rumorose» alla conquista di una compostezza e misura formale che gli permettono di tradurre in un linguaggio nitido, essenziale, diretto una intensa riflessione sul destino umano e la enigmaticità del reale.
Nel Prologo Borges sintetizza con queste parole la traiettoria della sua poesia: «È curiosa la sorte dello scrittore. Agli inizi è barocco, vanitosamente barocco, ma dopo molti anni può raggiungere, con il favore degli astri, non la semplicità, che non è niente, ma la modesta e segreta complessità». Di tale classicissimo ideale sono documento testi ormai celebri quali Poesia congetturale, Limiti, Il Golem, Altra poesia dei doni. Ma è nella forma chiusa del sonetto che quella «modesta e segreta complessità» trova forse la sua più compiuta espressione, insieme ai temi cifrati e personali che Borges chiama le «mie abitudini»: «Buenos Aires, il culto degli antenati, la germanistica, la contraddizione fra il tempo che passa e l’identità che permane, lo stupore che il tempo, nostra sostanza, possa essere condiviso».