«Giaceva di fronte alla finestra, sulla schiena, completamente vestito, con gli stivali, il frac azzurro e il panciotto giallo». Nella descrizione goethiana dell'agonia di Werther stupisce il singolare indugio sui particolari di un abbigliamento che, per di più, appare così vistosamente stonato nel contrasto dei colori. Ma questo dettaglio di gusto, all'apparenza incidentale ce infatti sempre trascurato –, acquisirà, imperiosamente, un significato vent'anni più tardi, allorché la Teoria dei colori, l'opera in cui Goethe ci ha consegnato l'essenza del suo pensiero, identificherà nell'opposizione tra il giallo e l'azzurro, con i contrari che ne discendono, il principio che governa la natura a tutti i suoi livelli. L'occulto «significato cromatico della morte di Werther», dal quale questo studio prende le mosse, fornirà quindi la chiave in grado di disserrare l'universo speculativo soggiacente all'intera opera di Goethe. Lasciando affiorare le nervature segrete che connettono personaggi, simboli e motivi talora assai distanti, Mathieu individua gli archetipi del mondo proteiforme di Goethe: le polarità di femminile e maschile, lontananza e vicinanza, sete d'infinito e limite terreno, tutte derivanti dagli opposti metafisici fondamentali di luce e oscurità. E all'oscurità appartiene un personaggio che compare tra i primi e scompare per ultimo: Mefistofele. Se i colori, cioè la realtà sensibile, si formano quando la luce colpisce l'oscurità interna dell'occhio – come spiega ancora la Teoria dei colori –, Mefistofele rappresenta dunque l'occhio, il fondo buio in virtù del quale si determinano le cose. Egli è l'emblema di quel principio da cui la natura trae la vita con il suo ritmo, il «diavolo custode» che rende possibile quell'esistenza che il dramma di Werther aveva messo in discussione.