Immanuel Kant
Che cosa significa orientarsi nel pensiero
A cura di Franco Volpi
Piccola Biblioteca Adelphi, 375
1996, 8ª ediz., pp. 121
isbn: 9788845912276
«In verità si è soliti dire che un potere superiore può privarci della libertà di parlare o di scrivere, ma non di pensare. Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo, se non pensassimo per così dire in comune con altri a cui comunichiamo i nostri pensieri, e che ci comunicano i loro? Quindi si può ben dire che quel potere esterno che strappa agli uomini la libertà di comunicare pubblicamente i loro pensieri li priva anche della libertà di pensare, cioè dell’unico tesoro rimastoci in mezzo a tutte le imposizioni sociali, il solo che ancora può consentirci di trovare rimedio ai mali di questa condizione». Kant giunse a questa formulazione di sovrana lucidità nel corso di una vibrante polemica sul panteismo avviata da Jacobi nel 1785. Si trattava di difendere il significato, pur sempre misterioso, della ragione, accusata di sfociare necessariamente, se abbandonata a se stessa, in una visione atea del mondo. In gioco era dunque tutto l’assetto della filosofia critica. Così Kant volle dimostrare, con l’ausilio di felici metafore, che la ragione non ha solo una funzione dissolvitrice di ogni precedente credenza, ma può valere come preziosa bussola per orientarci nel buio della vita in ogni momento e in ogni situazione.