Gottfried Benn
Pietra, verso, flauto
Biblioteca Adelphi, 227
1990, pp. 208
isbn: 9788845907678
Forse un giorno, quando si guarderà indietro a questo secolo, e ci si domanderà chi ha detto la sua verità letteraria con un timbro che solo in quest’epoca poteva apparire (un po’ come lo pensiamo per Baudelaire nell’Ottocento), forse allora si dirà: Gottfried Benn. Nessuno ha avuto la sua spregiudicatezza insolente, la sua malinconia letargica, la sua insofferenza per la dignità sociale, infine il suo orecchio assoluto per la forma: «Lo stile è superiore alla verità, porta in sé la prova dell’esistenza». Nessuno come lui ha saputo vivere nella perenne dissociazione di tutto da tutto (lo chiamava «sopportare la contiguità orizzontale delle cose») senza cadere nel panico, ma continuando ad accostare sillabe, come se da quel lavoro di soffiatore di vetro dipendesse la sussistenza di ciò che è. Come sembrano timidi, e anche benpensanti, certi eroi del modernismo – che siano D.H. Lawrence, «erotico all’aroma di pino», o anche Joyce –, dinanzi al vecchio Benn, il Tolemaico, rintanato fra le macerie di Berlino nel suo laboratorio di parrucchiere per signora, che elucubra in solitudine...
Pietra, verso, flauto è una sequenza di passi in prosa che Jürgen P. Wallmann ha tradotto da tutti gli scritti di Benn, saggistici, narrativi, epistolari. Forma quanto mai congeniale all’opera di Benn, che si presenta sin dall’inizio come una successione di schegge («Chi non vede più connessioni, più alcuna traccia di un sistema, può ancora procedere solo per episodi»).