Henri Michaux
Brecce
Biblioteca Adelphi, 145
1984, 3ª ediz., pp. 299
isbn: 9788845905902
Questa «antologia personale», che attraversa gli scritti di Henri Michaux da Chi fui (1927) al Giardino esaltato (1983), è stata composta dall’autore su richiesta dell’editore italiano. Per chi ancora non conosce Michaux, sarà questa la perfetta guida alla sua opera; per chi lo conosce, sarà un libro nuovo, ricco di sottili rivelazioni, quello in cui Michaux ha voluto illuminare sé a se stesso, e a tutti noi.
Tutta l’opera di Michaux risponde a una domanda che non riusciamo a formulare, eppure sentiamo essenziale. Col tempo, i suoi scritti si dimostrano sempre più nettamente insituabili, come già lo erano quando cominciarono ad apparire, nella Parigi degli anni venti. Possono presentarsi come racconti, poesie, riflessioni, esorcismi, dialoghi, aforismi, visioni: ma ogni volta li sentiamo evadere dal quadro di una forma preesistente. Ed è questa una peculiarità costante di questo scrittore, che ha con la ‘letteratura’ rapporti di acuminata diffidenza. I suoi paesaggi sono sempre altrove, in un Tibet dell’anima. Ogni libro di Michaux è il resoconto di un’esplorazione, che ama calarsi nelle «infinitesime fluttuazioni», ma si azzarda anche a perdersi nella sterminata vastità. Nelle sue pagine troviamo tracciati, con la precisione cerimoniale di un calligrafo cinese, innumerevoli «movimenti dell’essere interiore», soprattutto quelli che non hanno più un nome o non l’hanno mai avuto. Ciascuno di questi movimenti è una breccia fra il visibile e l’invisibile. I testi sono le macerie di quelle «brecce». Ogni racconto è l’accenno di una metamorfosi. «Sono già stato di tutto, e tante volte» dice una voce di Michaux, e prosegue: «Di rado vedo qualcosa senza provare quel sentimento così particolare… Ah sì, sono stato QUESTO… non me ne ricordo con esattezza, lo sento. Perciò mi piacciono tanto le Enciclopedie Illustrate. Le sfoglio, le sfoglio e ho spesso qualche soddisfazione perché lì trovo le fotografie di parecchi esseri che non sono ancora stato. Questo mi riposa, è delizioso, mi dico: “Avrei potuto essere anche questo, e questo, e mi è stato risparmiato”. Ho un sospiro di sollievo. “Ah! Il riposo!”».