E.M. Cioran
Storia e utopia
Piccola Biblioteca Adelphi, 141
1982, 10ª ediz., pp. 159
isbn: 9788845905186
Quando questo libro apparve, nel 1960, suonò come una voce appartata, subito coperta dal chiasso delle cose in baldanzoso movimento; oggi quello stesso movimento delle cose lo ha suffragato, a distanza di tempo, in modo allarmante. Ma Cioran non va misurato su alcuna attualità che non sia quella, perenne, di una caduta originaria, la «caduta nel tempo». Come leggiamo in questo libro, «una volta cacciato dal paradiso, l’uomo, perché non ci pensasse più e non ne soffrisse, ottenne in compenso la facoltà di volere, di tendere all’atto, di inabissarvisi con entusiasmo, con brio». Di quell’accecato entusiasmo, di quel sinistro brio è fatto ciò che da qualche secolo chiamiamo storia. All’interno di essa agiscono certe forze immense che non solo gli storici, ma i pudibondi psicologi dimenticano sempre più spesso di nominare. Cioran sa osservarle con la maestria di un moralista di Versailles che si sia educato su Dostoevskij e sulle taglienti discriminazioni dei testi buddhisti: la «nostalgia della servitù» e l’«euforia della dannazione», il «delirio dei miserabili» e le «virtù esplosive dell’umiliazione», altrettante tappe di un grande viaggio che qui viene definito «l’odissea del rancore». Ma c’è qualcosa di ancora più disperante della storia: la pretesa di uscirne con i mezzi forgiati dalla storia stessa, l’utopia. Se dissipiamo la loro cornice di Buone Intenzioni, le utopie sono inferni rosati, che non esercitano più neppure l’attrazione dell’orrido. E il loro difetto non è nella lontananza dalla realtà, ma nella capacità di anticiparci con notevole precisione un futuro di squallore. «I due generi, l’utopistico e l’apocalittico, che ci sembrano così dissimili, si fondono, stingono adesso l’uno nell’altro per formarne un terzo, meravigliosamente adatto a rispecchiare la sorta di realtà che ci minaccia e alla quale diremo tuttavia di sì, un sì corretto e senza illusioni. Sarà il nostro modo di essere irreprensibili davanti alla fatalità».