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Martin Buber

Confessioni estatiche

A cura di Cinzia Romani

Biblioteca Adelphi, 179
1987, 6ª ediz., pp. 256
isbn: 9788845902437

€ 18,00  (-5%)  € 17,10
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IN COPERTINA
Il pavone come uccello dell’immortalità e simbolo del Paradiso. Miniatura di Florentius per i Moralia in Job, Spagna, 945.
SINOSSI

Subito in apertura di questo libro Martin Buber volle precisare quale impresa azzardata e preziosa si era proposto nel comporlo: «Queste testimonianze di uomini e donne su qualcosa che essi vissero come esperienza sovrumana non sono state raccolte allo scopo di darne una definizione o una valutazione, ma perché in esse l’impeto dell’esperienza vivente, la volontà di dire l’indicibile e la vox humana hanno creato un’unità memorabile. Di questi elementi mi è sembrato degno di essere ripreso ciò che testimoniava, o recava in sé, il segno della parola». In questa voce incontriamo una «bellezza diversa da quella estetica». E, a quel punto, aggiungeva Buber, «nulla so più di gradi, né dell’ordine gerarchico degli spiriti. Ecco Plotino il Sublime e ’Attar, il più audace dei poeti; ecco Valentino, il demone segreto del cambiamento di un’epoca; ed ecco Ramakrishna, per il cui tramite tutto lo spirito indiano si è di nuovo svelato ai giorni nostri; ecco Simeone, l’amico e cantore di Dio dell’èra bizantina, e Gerlach Peters, il suo fratello olandese, giovane e lieto di morire; e qui, accanto a loro, ecco Alpais, la pastorella le cui parole quasi mi sembrano troppo accorte; e Armelle, la selvatica serva contadina; e i Camisardi, che mi confidano con rette parole peccati e redenzioni; ed ecco ancora le candide suore innamorate seguite dai goffi borghesi che balbettano le loro storie fantastiche, Hans Engelbrecht e Hemme Hayen. Eccoli qui, uno accanto all’altro, uno con l’altro, riuniti nella comunità di coloro che hanno osato raccontare quell’abisso; io vivo con loro, ascolto le loro voci, la loro voce: la voce dell’uomo».
Nato come antologia di mistici, proposta da Buber nel 1907 all’editore Diederichs, che lo pubblicò nel 1909, modificato da Buber per l’edizione del 1921 (a cui la qui presente si attiene), questo libro diventò dunque una forma senza precedenti né conseguenti, un testo dove una voce sola parla attraverso lingue e stili ed epoche molteplici dell’esperienza che più di ogni altra sfugge alla parola: l’estasi. Per capire come queste pagine possano trasformarsi in un vademecum insostituibile basterà accennare a due loro lettori. Da una parte Jorge Luis Borges, che usava dire di aver scoperto l’essenziale di quanto sapeva sulla mistica dalle Confessioni estatiche. Dall’altra parte Robert Musil, che nei mirabili «dialoghi sacri» fra Ulrich e Agathe dell’Uomo senza qualità attinge a piene mani da queste pagine, come se la voce che parlava ugualmente in Plotino e in Armelle proseguisse senza ostacolo dove i due fratelli ricongiunti si introducono all’«altro stato», nella persuasione di «appartenere non soltanto al mondo vivo e tumultuoso, ma anche a un mondo diverso che aleggiava nell’altro come un respiro trattenuto».

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