SINOSSI

Lord Chesterfield scrisse per oltre un trentennio lettere al figlio Philip, fin da quando questi era un bambino di cinque anni. Lo scopo di una così lunga e intensa corrispondenza – improntata a una naturalezza «che Rousseau, tutto dedito a fare del suo Émile il frutto della natura, avrebbe bollato come espressione suprema della corruzione di una civiltà» (Fumaroli) – era di trasformare quell’unico erede in un perfetto aristocratico, munito delle doti di cultura, di gusto e di comportamento che il padre riteneva essenziali. E quando il giovane Philip partirà per il grand tour, sarà proprio sul soggiorno a Parigi, tra il 1750 e il 1752, che Lord Chesterfield punterà perché si affinino in lui le qualità che sempre ha cercato di inculcargli.
A tale periodo risalgono le lettere qui raccolte: uno strepitoso catalogo di ammonimenti (i locali equivoci, il gioco, le donne di facili costumi...), istruzioni (per esempio sulla valutazione e l’acquisto di importanti opere d’arte del passato), ma soprattutto esortazioni a imitare e far propri gli attributi precipui e irrinunciabili della
bienséance. Un’educazione raffinatissima e insieme spregiudicata all’uso di mondo – non esclusa l’arte della seduzione e della galanteria – che non mancò di scandalizzare i puritani e i pedanti. Ne fa fede il laconico commento di Samuel Johnson a proposito delle Lettere: «Insegnano la moralità di una puttana, e le maniere di un maestro di ballo».