François-René de Chateaubriand
Di Buonaparte e dei Borboni
A cura di Cesare Garboli
Piccola Biblioteca Adelphi, 440
2000, pp. 177
isbn: 9788845915123
Questo violento pamphlet, scritto fra l’inverno e la primavera del 1814 per spianare la strada al ritorno dei Borboni sul trono di Francia, fu per Chateaubriand uno di quei gesti risoluti e istintivi che nascono dall’indignazione e tagliano tutti i ponti dietro di sé. Scopo di Chateaubriand era di convincere i francesi che per evitare una nuova repubblica o l’instaurazione di un governo straniero bisognava restituire la fiducia ai Borboni e insieme togliere loro il potere assoluto, dando alla Francia un governo monarchico-costituzionale. Ma la freddezza e la lucidità del giornalista politico si mescolano in modo imprevedibile e rapinoso a un torrente inquietante e quasi cieco di fuoco e di odio. Due motivi percorrono Di Buonaparte e dei Borboni e guizzano a intermittenza fuori dai nascondigli del discorso. Il primo è il conflitto tra gioia e dolore: che cosa desiderare? Che cosa festeggiare? Il ritorno della libertà, o la sconfitta del proprio Paese? L’altro motivo è ugualmente lungimirante. Nel cesarismo di Napoleone s’intravede la nascita di un mito moderno, non la copia di un mito antico; s’intravede la silhouette non di un tiranno, ma di un dittatore. Chateaubriand abbozza sotto i nostri occhi un ritratto, e nel suo schizzo affiorano tutti i dittatori che abbiamo visto e vediamo prosperare nel Novecento. Come ha fatto Chateaubriand a spiegarci con tanta precisione che cos’è un dittatore prima che questo accidente venisse al mondo? Non potevamo leggerle un po’ prima, queste cinquanta o sessanta pagine?
.