Basta prendere in mano le fiabe dei Grimm per perdersi in quelle pagine come in uno specchio. Allora ci si potrà far guidare dal sovrano arbitrio che ha indotto Tommaso Landolfi a scegliere le fiabe a lui più congeniali. Con un linguaggio di alta espressività, denso di quelle parole capaci di dare nerbo al testo volto in italiano, Landolfi ci conduce fra padri che per sottrarsi al demonio mozzano alla diletta prole entrambe le mani (del resto rimpiazzate da argentei moncherini) e tremendi uomini selvatici, fra guerrieri di ferro e «guatteri» dai capelli d’oro zecchino, fra quel «capobigio» del Lupo e i «botri» di selve incantate dai quali spuntano braccia che trascinano giù, nel fondo dell’abisso e della metamorfosi.