Norman Douglas
Biglietti da visita
Un viaggio autobiografico
Biblioteca Adelphi, 132
1983, 2ª ediz., pp. 468
isbn: 9788845905407
Per anni e anni Norman Douglas lasciò cadere biglietti da visita dentro un vaso di bronzo, un bruciaprofumi giapponese che gli aveva regalato una donna dagli occhi ardenti e dal sangue cubano come ringraziamento per aver ritrovato un suo amato bassotto. E un giorno cominciò a estrarne, uno a uno, quei biglietti. Essi agirono per lui come una sorta di ripetuta, ironica e invadente madeleine. Nomi, nomi, titoli, poche parole tracciate a penna… A poco a poco, per sprazzi, riemergeva una vita intera. Erano biglietti da visita che preannunciavano convegni amorosi ignorati da tutti; o altrimenti evocavano qualche pomposo professore tedesco; o avvocati napoletani (in ragguardevole numero); o dame dai nomi compositi e improbabili; o altri esseri disparati che avevano abitato o traversato in qualche momento il folto, capriccioso, differenziato paesaggio della vita di Douglas. Fra la Germania e Ceylon, fra Pietroburgo e la Tunisia, fra l’Inghilterra e l’Italia, Douglas aveva condotto una lunga esistenza di sapiente profano, dedicandosi alla storia naturale e alla letteratura, ma soprattutto alle sue due prime vocazioni: il piacere di vivere e un’illuminata curiosità, che si applicava egualmente alle rocce, agli animali e alle persone. Alcuni luoghi hanno arricchito per sempre il loro genius con quello di Douglas: innanzitutto Capri, di cui egli merita di essere considerato un padrino celeste. Estraendo i suoi biglietti da visita, Douglas si addentra nel suo passato con lo stesso gusto del vagabondaggio che lo aveva sempre dominato. Ogni tanto il nome evoca soltanto un punto interrogativo; altre volte, variegati cortei di storie. Le persone si allineano come in una serra, dove ogni pianta viene amorosamente curata e osservata nella sua singolarità, il ricordo di un’oscura ruffiana napoletana come quello di D.H. Lawrence. Nulla riesce a mettere in soggezione Douglas. E la sua perizia di naturalista gli è preziosa nel descrivere le persone, come quando ci presenta W.H. Hudson «come un vecchio falco appollaiato sul suo trespolo, perspicace e silenzioso».
Un senso sottile di felicità permea questo libro, come rare volte in un grande autore del nostro secolo. Irresistibilmente ci sentiamo inclini a dargli fede, quando ci assicura che allora «ci divertivamo di più». E la sua felicità si trasmette anche al lettore di oggi, che vorrebbe scrivere a Douglas, dopo aver letto queste pagine, le stesse parole che gli scrisse Lytton Strachey: «In questi anni decisamente magri è la grassezza delle sue mandrie che colpisce di più. I suoi libri sono così pieni, ci sono dentro tante cose… tanta esperienza, tanta cultura, tanta arte, tanto umorismo, tanta filosofia, e tante prove che sotto c’è ancora tanto, tantissimo, di più, che non è ancora stato detto».
Biglietti da visita è apparso per la prima volta nel 1933.