Friedrich Nietzsche
Ditirambi di Dioniso e Poesie postume
Piccola Biblioteca Adelphi, 134
1982, 6ª ediz., pp. 170
isbn: 9788845904998
La poesia di Nietzsche va considerata in continuo riferimento all’opera speculativa, ma l’opera speculativa, a sua volta, acquista una nuova dimensione se si considera che a tratti è sfociata in queste forme sorprendenti. Se, fino al 1884, i versi di Nietzsche erano piuttosto un a parte giocoso, che rompeva la fissità della riflessione, con i primi grandi ditirambi, inizialmente inclusi nello Zarathustra, la poesia si rivela a Nietzsche in violenza oracolare, confluendovi insegnamenti che squarciano il tessuto paradossalmente pedagogico di quell’opera. Colpisce in essi innanzitutto la novità letteraria, che nella poesia tedesca dell’Ottocento ha un solo precedente negli ultimi Inni di Hölderlin. La parola di Nietzsche è già la parola del moderno, sospesa nel vuoto, esplorazione delle forme; e insieme è antichissima, parola che sembra riemergere da una lunga marea, sì che giustamente, sulla soglia del silenzio, Nietzsche raccoglierà queste liriche sotto il titolo Ditirambi di Dioniso e le copierà con cura nei primi giorni del 1889. Un segno è comune a tutte: il segno della parola frammentaria ed enigmatica, capace di traversare i registri ritenuti più incompatibili prima della sua apparizione; basti pensare al mirabile ditirambo Tra figlie del deserto, che include in tutto la tremenda profezia: «Il deserto cresce: guai a chi rinchiude deserti!» e lo sfrenato abbandono al frou-frou nell’esaltazione delle dolcissime, e poco serie, amiche Dudù e Suleika. È Dioniso che, questa volta, di là dalla lacerazione, sceglie l’inganno illuminante dell’apparenza.