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Nachman di Breslav

La principessa smarrita

A cura di Giacoma Limentani, Shalom Bahbout

Biblioteca Adelphi, 104
1981, 2ª ediz., pp. 360
isbn: 9788845904516

€ 20,00  (-5%)  € 19,00
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IN COPERTINA
Ernst Fuchs, Atlantis, 1973.
SINOSSI

Nachman di Breslav, uno dei grandi maestri del chassidismo, sosteneva che «ogni sapienza che esiste al mondo ha un suo canto particolare». Così, per lui, quel canto non si sarebbe manifestato in brevi aneddoti e sentenze, come per i Rebbe che lo avevano preceduto, ma innanzitutto in forma di fiabe. Principesse e cavalieri, re e saggi, demoni e briganti: le perenni figure della favola dovevano servire, sulla sua bocca, a suscitare nulla di meno che la redenzione per mezzo dei racconti. Come il suo avo Baal Shem Tov, leggendario fondatore del chassidismo, «quando vedeva che i canali superiori si erano deteriorati e non era possibile ripararli con la preghiera, li aggiustava e li univa raccontando una storia», così Nachman ricorre alle «storie che la gente racconta» perché esse racchiudono «molte cose nascoste e molte cose elevate», anche se disperse e confuse come le scintille del divino nel mondo. Gli elementi delle fiabe di Nachman sono dunque quelli della letteratura profana: ma il procedere delle sue storie ci avverte che ciascuna di esse ha una dimensione occulta. Labirintiche, sconcertanti, corrusche – come osservò Nathan, il discepolo che le trascrisse – ci avvicinano a «sentieri ignoti e terribili profondità». Esse ci appaiono «come uno che gesticola da lontano per mostrare fino a dove le cose possono arrivare». E già questo gesto, nella sua silenziosa evidenza, ci può suggerire perché da anni Nachman sia definito «il Kafka del chassidismo». Pur appartenendo a due mondi opposti, l’uno sovrabbondante e l’altro svuotato di fede, Nachman e Kafka hanno in comune almeno una parte, molto peculiare e penetrante, del loro «canto». Entrambi sono maestri nel raccontare gli eventi più meravigliosi e tremendi come si trattasse delle storie più semplici e quotidiane. Entrambi sanno raccontare i fatti più normali trasmettendoci attraverso di essi, quasi fosse un brivido, l’allusione a una realtà ulteriore, meravigliosa e tremenda.
Pronipote del Baal Shem Tov, Nachman (1772-1810) rivelò prestissimo la sua vocazione. Ancora bambino, si immergeva nel ruscello gelato davanti alla sinagoga per provare la sua fede. Adolescente, si lasciava trascinare da una barca fra i canneti per isolarsi nella preghiera e «ascoltare la canzone dell’erba». Quando cantava e ballava, fu detto di lui: «chi non lo ha visto ballare non ha visto alcunché di buono nei suoi giorni». Dopo un avventuroso pellegrinaggio in Terra Santa, fra le tempeste e i cannoni di Bonaparte, distrusse i suoi scritti precedenti al viaggio e diede inizio a un insegnamento che provocò sconcerto e scandalo. La parte più preziosa di tale insegnamento è racchiusa nelle fiabe dei Sippurè maasijot, qui tradotte dall’ebraico per la prima volta al mondo nella loro integrità. Alla traduzione del testo, Giacoma Limentani e Shalom Bahbout hanno fatto seguire il lungo saggio Nachman il narrastorie, che illumina la singolarità di Nachman all’interno del chassidismo, ci guida lungo il tortuoso percorso della sua vita e ci mostra i rapporti fra il suo insegnamento e la Kabbalà.

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