Madame de Duras
Ourika
A cura di Benedetta Craveri
Piccola Biblioteca Adelphi, 594
2009, 2ª ediz., pp. 169, 1 tav. in b.n.
isbn: 9788845924590
«So che conoscete la duchessa di Duras» disse un giorno Goethe a von Humboldt. «Siete un uomo fortunato! Eppure, ella mi ha fatto tanto male: alla mia età, non bisognerebbe lasciarsi commuovere a tal punto... Esprimetele tutta la mia ammirazione». Pur essendo senz’altro uno dei più prestigiosi, Goethe non era però sicuramente l’unico ammiratore di Mme de Duras: tra i suoi estimatori vi furono Chateaubriand, Hugo, Sainte-Beuve (che vedeva in lei una «sorella» di Mme de Staël). Pubblicato nel 1824, Ourika divenne infatti in brevissimo tempo quello che oggi si definirebbe un libro di culto, tant’è che nei magasins de mode andavano a ruba nastri, camicette, cappelli e gioielli «à l’Ourika». Ancora oggi, a quasi due secoli di distanza, questo breve, intensissimo romanzo conserva tutto il suo fascino sottile – e la vicenda della piccola schiava nera, portata in dono dal governatore del Senegal al maresciallo di Beauvau e destinata a soccombere a un destino che non potrà essere che tragico per aver «infranto l’ordine della natura», per aver concepito «una passione delittuosa», «un amore colpevole» (e forse soprattutto per aver desiderato una impossibile «fusione dei cuori»), ancora ci commuove. «Da un lato» scrive John Fowles «Ourika affonda le radici nel Seicento francese, in Racine, La Rochefoucauld e Mme de La Fayette, mentre dall’altro si protende fino al tempo di Sartre e Camus. È la cartella clinica di un outsider, dell’eterno étranger nella società umana».