2020 / pp. 177 / € 18,00 € 17,10
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Sappiamo oggi che Jean Rhys è stata maestra somma nel raccontare storie d’amore ricamate sulla desolazione. Ma ci fu un periodo in cui quella sua maniera obliqua e tagliente di narrare, oggi così riconoscibile, si mostrò per la prima volta. Fu nella seconda metà degli anni Venti, con Quartet (1928) e, soprattutto, con questo romanzo, apparso nel 1930.
Di Julia Martin sappiamo solo quel che dice agli uomini che la mantengono: che forse è stata sposata, che forse ha avuto un bambino, che forse è cresciuta in un qualche paese straniero. Del resto, a chi passa una notte con lei nella penombra struggente di una stanza d’albergo non importa sapere chi sia veramente quella silhouette col suo buffo costume di scena: turbante, veletta, un cappottino di seconda mano, un mazzo di violette stretto nel pugno. Né a Julia importa sapere quel che pensano gli altri, mentre fende imperterrita la nebbia di Londra o la caligine di Parigi. Ha sempre qualche credito da riscuotere, lei, e non tradirebbe quello che ritiene l’unico modo sensato di vivere: «Se un taxi suona il clacson prima che io abbia contato fino a tre, vado a Londra. Sennò niente». Solo Jean Rhys poteva trasformare una vicenda di quotidiana ferocia nella grande storia di una distratta, tenace, appassionata perdizione.